Il Vangelo di questa domenica (Matteo 22, 15-21) a partire da una situazione storica determinata, diventa un paradigma del rapporto fra laicità e fede, laicità e religioni istituzionali. La Palestina è occupata dall'impero romano; ogni giudeo adulto e attivo deve pagare il tributo all'erario imperiale come segno di sudditanza. L’unità del sistema monetario dell’impero romano, con il quale di fatto si paga il tributo nelle province, è una moneta d’argento. Quelle coniate sotto Tiberio, imperatore dal 14 al 37 d.C., riportano il profilo dell’imperatore (Cesare) e l’iscrizione “Tiberio Cesare figlio del divino Augusto, Pontefice Massimo”. L’imperatore rivendica una forma di riconoscimento e di sacralizzazione, ritenendosi una divinità. Le posizioni di fronte all'impero di occupazione e di conseguenza anche al tributo, sono diversificate. C’è il gruppo degli zeloti che con una spinta religiosa che diventa posizione politica, organizzano la resistenza e la lotta armata. Ci sono i farisei, scrupolosi osservanti della legge, che avvertono tutta la difficoltà di accettare il potere romano di occupazione. Ci sono gli Erodiani che appoggiano le autorità locali sulla linea dinastica di Erode, accettano di buon grado la presenza romana e contestano la lotta armata degli zeloti da loro considerati fanatici religiosi.
Alcuni farisei e componenti del partito di Erode chiedono a Gesù il suo giudizio: se la legge ebraica permette o no di pagare le tasse all'imperatore e questo per metterlo in difficoltà, per poterlo identificare in una delle posizioni nei confronti del potere romano. Gesù si fa dare una moneta e chiede loro di chi siano la faccia e il nome che vi sono stampati. La loro risposta indica l’imperatore di Roma. Allora Gesù dice: “Dunque, date all'imperatore quello che è dell’imperatore, ma date a Dio quello che è di Dio.” Dare a Dio quello che è di Dio significa riconoscerlo come unica autorità e quindi relativizzare le altre. A Dio si da rispetto, riconoscenza, fiducia, fedeltà e coerenza; al suo insegnamento di giustizia, di pace, di fratellanza, si aderisce con fedeltà e coerenza. Di conseguenza a Cesare, cioè alle istituzioni e alla politica si da quello che si meritano: collaborazione quando si impregnano per il bene comune con attenzione ai poveri, ai deboli, a coloro che fanno fatica; con critica e disobbedienza quando fanno prevalere logiche e comportamenti di potere, dominio, oppressione, ricchezza, privilegio, corruzione.
Fede e politica si collocano su due piani diversi e distinti, ma non separati; non devono identificarsi perché quando questo avviene si pretende che la fede legittimi le scelte politiche e che la politica sostenga la fede, con gravi danni per entrambi. La fede in verità è sempre profetica, la religione istituzionale invece ha abbracciato e abbraccia il potere economico e politico per un reciproco sostegno. L’insegnamento di papa Francesco anche in questo è esemplare: interviene con i suoi messaggi forti con l’autorevolezza che gli deriva dalla libertà dall'abbraccio mortale con il potere e dall'attenzione a non interferire nella laicità delle istituzioni, della politica, delle legislazioni.