Nelle nostre storie viviamo spesso l’esperienza del rapporto fra le dimensioni esteriori e quelle interiori; il rapporto stretto fra di loro o la loro lontananza. Alle volte restiamo proprio sorpresi a cominciare dai nostri comportamenti: quando viviamo uno slancio di disponibilità e gratuità di cui non ci ritenevamo capaci; quando manifestiamo un comportamento scostante e aggressivo di cui ci stupiamo. E così avviene nelle relazioni con gli altri: alle volte diciamo alla persona stessa: “Non avrei mai pensato che tu fossi così”; e questo per dimensioni positive e negative.
Chi siamo veramente? La nostra figura esteriore in che misura e profondità corrisponde alla nostra interiorità? Tutti noi abbiamo vissuto esperienze di particolare profondità quando siamo riusciti ad andare oltre la figura già conosciuta e a scoprire dimensioni inedite; e questo in una relazione di amore a di amicizia; in una esperienza di dedizione gratuita in un progetto; paradossalmente in una situazione di malattia e di dolore che ha favorito vicinanza, profondità, essenzialità, riscoperta di dimensioni fondamentali, quelle che veramente valgono, restano, permangono.
Possiamo ancora testimoniare esperienze di trasfigurazione nel rapporto di silenzio e contemplazione con l’ambiente vitale, fra le montagne, in riva al mare, all’alba o al tramonto. E così avviene nell’esperienza spirituale, in momenti di particolare intuizione e intensità.
Il Vangelo di questa domenica (Marco 9, 2-13) ci racconta l’esperienza vissuta dai tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni con Gesù su un alto monte, da soli. Per descrivere la sorprendente novità della situazione si evidenziano il cambiamento di aspetto di Gesù, i suoi abiti che diventano splendenti e bianchissimi, il fatto che i tre discepoli vedono presenti il profeta Elia costretto dal potere a fuggire a motivo della sua coerenza e Mosè il leader del cammino della liberazione del popolo. Pietro esprime a Gesù il suo entusiasmo e il desiderio di poter proseguire a lungo nell’esperienza di luce e profondità organizzandone la continuità e installando tre tende dove alloggiare. I tre discepoli sono piuttosto storditi e non comprendono veramente quello che stanno vivendo. Sulla montagna appare una nuvola che nella Bibbia è segno della presenza di Dio: da lì proviene una voce che afferma nei confronti di Gesù: “Questo è il Figlio mio, che io amo. Ascoltatelo!”
L’intensità dell’esperienza termina; la luminosità cessa; “i discepoli si guardarono subito attorno; ma non videro più nessuno: con loro c’era solo Gesù.”
I tre discepoli hanno intuito in profondità chi è Gesù di Nazaret, oltre alle esperienze vissute fino a quel momento con lui; ora rientrano nella quotidianità; Gesù raccomanda loro mentre scendono dal monte di non raccontare quell’esperienza fino a quando lui sarebbe risorto dai morti. Ora li aspetta la fatica della quotidianità che si può affrontare con la ricchezza acquisita sul monte. Così per noi; sono indispensabili le esperienze di trasfigurazione per affrontare con coraggio, coerenza, pazienza attiva e perseveranza le esperienza di ogni giorno.