Il rapporto fra fede e religione, fra tempio come luogo di culto e società come luogo di impegno e di testimonianza dovrebbe essere esaminato è approfondito in continuità, per liberarci dalle situazioni in cui la religione del tempio può diventare potere, ricchezza, privilegio, uso strumentale di Dio stesso.
Il tempio di Gerusalemme è una realtà imponente che unisce diverse dimensioni e situazioni: segno della comune identità che raduna le dodici tribù di Israele; evidenzia del grande impegno per la sua edificazione e abbellimento; luogo dell’abitazione di Dio, dei sacrifici degli animali a lui offerti, gestione indiscussa e incontrastata dei sacerdoti divisi in classi, luogo di lavoro per tante persone per la manutenzione, vera e propria banca per l’afflusso del denaro.
La religione del tempio di fatto confermava e consacrava le discriminazioni fra uomo e donna; bambini e adulti, sani e ammalati; presunti giusti e peccatori scomunicati; osservanti della legge e disubbidienti alla stessa.
Si avvicina la celebrazione della Pasqua che richiede il pellegrinaggio a Gerusalemme; la città dai circa 55mila abitanti in quei giorni poteva accoglierne fino a 125mila.
Nelle celebrazioni del culto si sacrificavano fino a 18mila animali. Il Vangelo (Giovanni 2,13 – 25) indica in modo dettagliato i venditori di buoi, pecore e colombe e la presenza di cambiavalute che offrono l’opportunità di cambiare le monete per pagare il tributo al tempio prescritto in moneta ufficiale e per comprare gli animali per i sacrifici.
Gesù sceglie di recarsi al tempio e compie un gesto profetico clamoroso nei confronti delle classi sacerdotali che organizzano la festa e il culto come occasione particolarmente redditizia di guadagno.
“Allora Gesù fece una frusta di cordicelle, scacciò tutti dal tempio, con le pecore e i buoi, rovesciò i tavoli dei cambiamonete spargendo a terra i loro soldi. Poi si rivolse ai venditori di colombe e disse: -Portate via di qua questa roba! Non riducete a un mercato la casa di mio Padre-. Il gesto dirompente di Gesù si inserisce nella denuncia che i profeti hanno fatto in continuità di un culto, espresso nelle celebrazioni e nei sacrifici, ipocrita che esibisce una religione formale per coprire ingiustizie, violenze, oppressione dei poveri.
Con questo gesto non chiede una riforma, ma l’abolizione di quell’organizzazione della religione che sfrutta la fede popolare per arricchire le classi sacerdotali e chi le sostiene.
Il tempio può essere significativo soltanto se è la “casa di mio Padre”. E’ una espressione di significato straordinario: con essa Gesù porta Dio fuori dal tempio, la relazione con lui è familiare, riguarda l’amore, l’intimità, la confidenza. Invece la relazione con Dio attraverso i sacerdoti, i sacrifici, il denaro segna distacco, timore, sudditanza, ricatto.
I discepoli interpretano il gesto di Gesù come espressione del suo ardore per l’integrità del tempio. Le classi dirigenti in quanto autorità si ergono a giudici, chiedono a Gesù con quale autorità si permette un tale gesto di sfida. Gesù li invita a distruggere il tempio perché lui in tre giorni lo farà risorgere. Data la loro chiusura mentale e durezza di cuore non capiscono che Gesù si riferisce al suo corpo. Dopo che Lui è entrato nella storia non c’è più bisogno di templi, né di sacrifici religiosi: la fede si vive e si manifesta con la vita, nella storia; è nella dedizione al bene dei fratelli che noi incontriamo il Dio di Gesù di Nazaret.