Le vicende umane, le storie delle persone, a cominciare dalla nostra, mettono insieme concretezza e mistero, gioie e dolori, slanci e ripiegamenti, situazioni inedite e sorprendenti; la pluralità delle nostre dimensioni e dei nostri vissuti interiori, i diversi “io” che ci abitano e che chiedono di essere armonizzati in modo positivo per costruire quel nucleo della nostra identità personale sempre aperta nel dare e ricevere, mai chiusa ed arroccata in posizioni difensive e aggressive. Riscontriamo queste diversità nell’incontro con i vissuti e le storie delle altre persone, a condizione però di essere aperti e disponibili, a non difenderci con dogmatismi e moralismi di diverso genere; si possono incontrare in modo veritiero le varie dimensioni e le diverse esperienze solo se si corre il rischio di navigare nel mare aperto della vita.
Alle volte si può restare sorpresi fino all’incredulità per situazioni positive e tribolate; di fatto essere aperti alla vita ci fa incontrare la vita alle volte anche al costo di iniziali smarrimenti e di esigenze di particolare riflessione ed elaborazione.
Gesù di Nazaret, via, verità e vita non si è mai difeso dalle diversità delle storie delle persone, di quelle che la religione del tempio giudicava e allontanava.
Il Vangelo di oggi (Marco 5, 21-43) ci racconta due incontri, particolarmente commoventi, anche perché sono coinvolte due donne.
Una è adulta e soffre di emorragie; se sempre il flusso mestruale definisce l’impurità e il conseguente allontanamento, per lei questa condizione è permanente. I tentativi di guarigione si sono risolti in inutili spese. Ha sentito parlare di Gesù, della sua umanità profonda e accogliente; pensa di accostarsi a lui fra la folla per riuscire a toccarne almeno il lembo del mantello; nutre fiducia che le sarà di giovamento. E così agisce avvertendo subito il beneficio. Gesù si accorge e si rivolge ai discepoli per sapere chi l’ha sfiorato. Non c’è risposta data la folla che lo attornia. L’intenzione di Gesù non è riconducibile a curiosità; contiene invece la provocazione di far uscire quella donna allo scoperto, di fronte a tutti; non per umiliarla, bensì al contrario per dirle di non sentirsi umiliata, di vivere il suo essere donna con stima di sé, con fiducia nelle sue possibilità di bene, con coraggio. Che il corpo, che il sangue non devono essere motivo di impurità e di esclusione; che Dio si esprime nella sua persona per stare in mezzo, per liberare da schemi, tabù, moralismi; che è il Dio della vita delle persone, del loro corpo e del loro animo, della loro totalità.
L’altra donna è giovane, è figlia di Giairo il capo della sinagoga. Chissà, forse proprio il rapporto con un padre così importante, la richiesta continua di perfezione ha indotto in lei frustrazione, sfiducia, senso di inadeguatezza; si è affievolito il gusto della vita, delle scoperte, dell’autonomia, della creatività; si sente costretta, con le ali tarpate; poco a poco si spegne e ora sta morendo. Il padre angosciato si rivolge a Gesù che lo esorta a continuare a nutrire fiducia. Alcuni giungono a dare la notizia della morte della ragazzina. Gesù si reca ugualmente nella casa commentando che lei non è morta, ma dorme. Le sue parole cadono fra pianti, scetticismo fino alla derisione. Poi alla presenza del padre, della madre e dei discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni prende per mano la ragazzina e la invita ad alzarsi. Lei, che ha 12 anni, riprende a camminare, cioè riprende a vivere, a sognare, a desiderare, ad essere creativa. Gesù entra in relazione profonda, infonde fiducia e speranza, anima la vita.