Il testo del Vangelo di questa domenica (Vangelo di Marco 9,38-43.45.47-48) chiede attenzione a diversi passaggi, ciascuno dei quali orienta, illumina e verifica aspetti della nostra vita personale e comunitaria.
Il discepolo Giovanni riferisce a Gesù di aver visto un uomo che operava il bene, cercava di favorire nelle persone la liberazione dalle tribolazioni interiori: “usava il suo nome per scacciare i demoni” e che loro, i discepoli “hanno cercato di farlo smettere perché non è uno dei nostri”. Gesù invita a lasciarlo fare. Il bene è tale da qualunque persona o gruppo o comunità provenga; non c’è un bene diverso, più o meno significativo, a seconda di chi lo compie. Il “colore” del bene è il bene stesso, né il bene può diventare uno strumento per compattare e affermare identità e presenze. Fondamentale è essere per il bene e praticarlo, non essere contrari ed osteggiarlo: “chi non è contro di noi è con noi”.
Il bene non è astrazione: da vissuto interiore diventa pratica di prossimità, di cura; di giustizia, di verità, di accoglienza, di pace, di relazione positiva con la terra e tutti i viventi.
Il bene si progetta e si concretizza anche nei piccoli gesti, come quello di offrire a un discepolo di Gesù, e così egualmente ad ogni persona un bicchiere d’acqua.
Il significato di un gesto così semplice non può farci dimenticare che in tante parti del mondo non è possibile concretizzarlo: 8oo milioni di persone, l’11% della popolazione mondiale, non possono accedere all’acqua potabile.
Con alcuni esempi paradossali siamo provocati a riflettere sulla coerenza e sull’incoerenza della nostra vita rispetto alla fede che dichiariamo.
“Se qualcuno fa perdere la fede a una di queste persone semplici che credono in me, sarebbe meglio per lui essere gettato in mare con una grossa pietra legata al collo”.
L’incoerenza di chi si dice credente diventa un impedimento a credere, un ostacolo, una grave sconferma.
Senza entrare in meccanismi automatici di causa ed effetto, soprattutto per la fiducia che Dio agisce in luoghi e con tempi misteriosi, sconosciuti, inediti, nella vita delle persone, senza dubbio le incoerenza gravi, strutturali e permanenti determinano sconcerto perché le parole pronunciate sono in nome di Dio quindi avvertite come particolarmente importanti e di conseguenza il loro tradimento è di una gravità del tutto particolare. In modo semplice, diretto, si dice: “Proprio loro che dicono di credere in Dio, poi si comportano in modo opposto”.
Noi ci muoviamo nella nostra esistenza con la nostra globalità umana, esprimiamo con la nostra corporeità le dimensioni profonde del nostro animo: sensibilità, convinzioni, amore, prospettive, fede, speranza.
Il Vangelo si riferisce alle nostre mani, ai piedi, agli occhi come a possibilità di esprimere il bene e il male.
Le mani possono stringere altre mani, possono esprimere amore e amicizia, vicinanza, cura, tenerezza, pulizia; e anche avversione, inimicizia, odio, violenza; possono impugnare un’arma; spezzare il pane della condivisione o concretizzare cupidigia, avidità, egoismo.
Con i piedi le persone possono camminare per recarsi ad incontrare, a operare il bene, a celebrare l’Eucarestia, a condividere percorsi di giustizia e di pace ma anche per distanziarsi dagli altri, per recarsi in luoghi dove si trama il male.
Con i nostri occhi possiamo esprimere la sensibilità del cuore, la serenità dell’animo, la partecipazione commossa, il sorriso profondo della partecipazione, la contemplazione dell’ambiente che circonda, ma anche la malizia, la durezza, la bramosia, la cupidigia, il possesso, il potere.
Il Vangelo afferma che è preferibile perdere mani, occhi e piedi se portano al male; preferibile così pur di mantenere fedeltà, coerenza nel praticare il bene. Gli esempi al riguardo sono tanti nella storia.