I Vangeli sono i racconti della storia di Gesù di Nazaret, delle sue parole e dei suoi gesti, soprattutto del suo rapporto con le persone, di come si svolgono, quali ne sono gli esiti.
Tante e diverse persone desiderano incontrarlo perché cercano di essere ascoltate, accolte, capite, incoraggiate. Molti sono gli ammalati, i disabili, i sofferenti nella mente e nel cuore. Lui vive in continuità la compassione, il fremito profondo dell’essere che comunica quella vicinanza e condivisione che genera speranza, vita, anche guarigione nel corpo, nella mente, nel cuore, nell’anima.
Il Vangelo di questa domenica (Marco 10, 46-52) ci racconta l’incontro di Gesù con un uomo cieco di cui si ricorda il nome di Bartimeo e anche quello del padre Timeo a ribadire il fondamento della dignità di ogni persona, cioè la sua storia e il suo nome sempre importanti qualunque sia la situazione e la condizione, l’appartenenza e la provenienza, il pensiero, le scelte, la fede religiosa.
Il cieco, come altre persone in situazioni di sofferenza e di difficoltà è considerato castigato da Dio per qualche male commesso, quindi escluso dalla comunità, proprio in nome della religione del tempio di cui i sacerdoti sono i gestori e i garanti.
Per questo è seduto sul bordo della strada a mendicare; quando sente dire che sta passando Gesù comincia a gridare “Gesù, abbi pietà di me”: esprime così il dolore per la sua condizione di cecità e per l’emarginazione in cui è confinato, per la costrizione ad essere sul ciglio della strada a chiedere l’elemosina. Molti dei presenti si mettono a gridare per farlo smettere, ma lui, Bartimeo grida ancora più forte. Questa situazione rappresenta in modo veritiero tante simili nella società e nel mondo attuali: le tante persone povere, emarginate, che fanno fatica non sono prese in considerazione, non sono ascoltate, è forte la tendenza a dimenticarle come numeri, esuberi, scarti: papa Francesco spesso sollecita a riflettere e a prendere posizione sulla cultura dello scarto.
Gesù invece ascolta le sue grida perché è attento e disponibile alle persone che incontra, ai loro vissuti, alle loro storie. “Chiamatelo qua”, dice.
Allora alcuni vanno verso il cieco e gli dicono: “Coraggio, alzati, ti vuol parlare”.
Lui butta via il mantello, balza in piedi e va vicino a Gesù.
Sentire l’attenzione, l’interesse di qualcuno che prende a cuore la tua persona infonde forza interiore, coraggio: il mantello che butta via assume anche il valore simbolico di una liberazione dalla struttura di emarginazione in cui è stato collocato; ora è iniziato il cammino della liberazione.
Può sembrare sorprendente che Gesù gli chieda che cosa desidera che faccia per lui; la sua richiesta in realtà è parte dell’incontro, della relazione, del coinvolgimento.
“Maestro, fa che io possa vedere di nuovo!”
E Gesù: “Vai, la tua fede ti ha salvato.”
Nei Vangeli i segni di accoglienza, guarigione, salvezza non vengono mai presentati come esperienze magiche: cioè un gesto, una parola farebbero accadere immediatamente qualcosa di prodigioso; sono invece collocati nella relazione tra Gesù e le persone; certamente è da evidenziare la forza, l’energia positiva che Gesù comunica, ma nello stesso tempo la fiducia, l’affidamento, la speranza delle persone nella relazione con lui, la loro presenza attiva.
Bartimeo recupera la vista e si mette a seguire Gesù lungo la via. Da emarginato sul ciglio della strada, a soggetto attivo in movimento. Nessuno deve essere emarginato, tutti possono diventare protagonisti.