Il Vangelo di questa domenica (Luca, 1-4.4,16-21) sollecita una riflessione forte e profonda sulle esigenze della fede fra dimensione spirituale ed incarnazione e impegno nella storia.
Ci giunge infatti come una provocazione la lettura di un testo del profeta Isaia che Gesù fa nella sinagoga di Nazaret, suo paese di crescita e dell’attuazione del testo che lui riferisce alla sua persona.
Eccolo quindi mentre apre il rotolo con la profezia di Isaia che fa sua come una sintesi della sua missione.
Isaia aveva avuto il compito, nel suo tempo, di annunciare il ritorno degli esuli; allora i poveri erano gli ebrei esiliati dal cuore spezzato; i prigionieri erano gli schiavi che il Dio di Sion avrebbe ricondotto e liberato.
L’anno di grazia del Signore, sulla bocca di Isaia, era il tempo del ritorno nella terra e della riedificazione della città santa. A sua volta il profeta faceva proprie le parole del Levitico, dove si annunciava il giubileo, un cinquantesimo anno, cioè, che avrebbe visto la remissione dei debiti e l’affrancamento degli schiavi.
Tutti gli ebrei che avevano perso la loro porzione di terra per insolvenza, o perché finiti in esilio, l’avrebbero riacquistata. La terra verrà di nuovo data in usufrutto ai poveri, agli afflitti, ai prigionieri, ai ciechi: all’Israele scacciato dalla sua terra e prigioniero dei popoli.
Questo il contesto, la situazione storica e le attese al tempo del profeta Isaia.
Gesù, dopo averne letto il testo afferma: “Oggi si avvera per voi che mi ascoltate questa profezia”. L’oggi non è restringibile a quel giorno nella sinagoga di Nazaret, né ai circa tre anni della sua vita e missione pubblica, ma si estende all’universalità del tempo e dello spazio quindi diventa anche l’oggi della nostra storia attuale.
La presenza di Gesù e il suo messaggio diventano coinvolgimento per noi.
Gesù è stato scelto per portare ai poveri la notizia della loro salvezza e chi lo segue deve ugualmente sentire questo compito: portare non tanto a parole ma con vicinanza, condivisione e partecipazione, progetti concreti liberazione da condizioni di impoverimento, fame, sete, mancanza di assistenza medica, di istruzione, di terra, di casa, di lavoro; nelle diverse situazioni presenti in modo doloroso e preoccupante su tutto il Pianeta ed anche nella nostra società.
Gesù è invitato ad annunziare la liberazione ai prigionieri e se lo seguiamo questo compito spetta anche a noi; consideriamo le tante forme di schiavitù presenti che rendono prigioniere le persone: in possesso dei trafficanti di esseri umani, della tratta della prostituzione; chi è dipendente da sostanze e da gioco; da altre forme di dipendenza da ossessioni, da immagini, da persone, a chi è ricattato dal lavoro nero, a tutte le forme di strumentalizzazione. Pensiamo alla condizione disumana delle carceri: il compito della liberazione è vasto e impegnativo e ciascuno è chiamato a diffondere sensibilità e ad assumere l’impegno per una situazione, per un aspetto… .
Gesù dice di essere mandato a donare la vista ai ciechi e a liberare gli oppressi. Così chi lo segue. Le forme di oppressione, come quelle della schiavitù, alle volte anche coincidenti, sono ancora molteplici: da quelle personali, a quelle sociali, psicologiche, politiche… . E l’attenzione alle persone cieche fisicamente per favorire diritti di dignità, autonomia, lavoro non deve farci dimenticare la cecità che può riguardare noi tutti come incapacità o non volontà di guardare in profondità per cercare di capire e di conseguenza decidere. E ancora Gesù è stato mandato a “dire a tutti che è giunto il tempo nel quale il Signore salverà il suo popolo”.
Un tempo nuovo, favorevole, positivo, nel quale si può sperimentare la presenza del Dio della misericordia: con la sua vicinanza ci comunica benevolenza, comprensione, perdono, fiducia, incoraggiamento; noi istruiti nel profondo del nostro essere da questa esperienza, possiamo comunicarla per favorire una umanità attraversata dalla compassione, dal prendersi a cuore reciproco, dalla premura, dalla cura, dal superamento dell’indifferenza, dai pregiudizi, dall’avversione e dall’inimicizia.
La fede che si nutre dal riferimento a Gesù di Nazaret coinvolge nella liberazione per la vita; esige la profondità dell’anima e la disponibilità a spendersi nella storia perché ci possa essere vita umana degna di questo nome per tutti, come desidera il Dio di Gesù.