La storia ci provoca continuamente con i suoi segni positivi e con quelli drammatici; se i primi diventano una sorpresa che incoraggia l'impegno per la verità, la giustizia, la pace, un mondo migliore, più umano, i secondi provocano sgomento, dolore, sdegno, anche sconforto per il grado di disumanità che concretizzano nella violenza, nell’efferatezza e nella brutalità.
Al tempo di Gesù si riteneva che le morti tragiche fosse un castigo di Dio per il male commesso, come al contrario le situazioni positive della vita una sua benedizione per il bene compiuto. Questo meccanismo della retribuzione positiva o negativa colloca Dio come un distante calcolatore di meriti o demeriti, dispensatore del male o del bene.
Sappiamo che l'esperienza della vita, le storie umane di fatto rendono insignificante, insostenibile questa costruzione che cercherebbe in modo inverosimile e per nulla credibile di trovare delle risposte alle situazioni di fatto inspiegabili.
I drammi e dolori che essi comportano, pongono gravi interrogativi riguardo al senso stesso della vita e a Dio stesso e alla fede in lui. Solo il Dio di Gesù di Nazaret vicino, sofferente, che partecipa e condivide può essere accostabile.
Alle volte si cerca una spiegazione nelle dinamiche e nelle modalità dei fatti; altre si individua una possibile causa nella minore attenzione di chi ne è rimasto coinvolto e poi vittima. Tentativi di capire che alle volte diventano distanza dal sentirci coinvolti e dal partecipare; una sorta di implicita soddisfazione per non essere stati coinvolti, come se questo non potesse avvenire anche a noi e ad altri.
A queste riflessioni ci invita il Vangelo di questa domenica (Luca 13, 1-9).
Alcuni si presentano Gesù per riferirgli che un gruppo di Galilei è stato sterminato nel tempio di Gerusalemme, mentre stava offrendo i sacrifici del culto, un'azione repressiva efferata, com'è andata dal procuratore di Roma Pilato probabilmente per eliminare alcuni simpatizzanti del Movimento degli zeloti direttamente attivi nella lotta armata contro i rappresentanti dell'impero di Roma . Gesù commenta che quelle vittime non sono state uccise perché più peccatrici degli altri e di porre attenzione per non finire la vita allo stesso modo. Accomuna nella sua riflessione anche le vittime schiacciate dal crollo della Torre di Siloe, un gravissimo incidente: forse operai, forse passanti e visitatori.
Poi Gesù racconta la parabola di un fico piantato nella vigna. Il padrone del podere, recandosi a cogliere alcuni fichi non ne trova e si rivolge allora al contadino commentando con lui che sono ormai tre anni che cerca i frutti senza alcun esito positivo. Invita quindi il contadino a tagliare quella pianta che occupa inutilmente il terreno. Ma il contadino, attingendo alla sua esperienza e saggezza invita il padrone a lasciarlo ancora un anno, lui si impegnerà con attenzione ancora maggiore a zappare con cura la Terra attorno alla pianta, a metterci sopra il concime, e questo con la speranza che produca i frutti attesi, in caso contrario lo taglierà. Questa attesa, proposta come pazienza attiva è propria del Dio misericordia che ci aspetta, accoglie, ascolta, comprende incoraggia, comunicandoci fiducia e incoraggiamento.
La pazienza attiva come fiducia percepita ci coinvolge nella conversione, nella continua crescita di sensibilità e profondità da esprimere in atteggiamenti, parole che producono frutti buoni, come i fichi: di giustizia, fraternità, verità, pace, autentica solidarietà.