Nella storia dell’umanità chissà quante volte di fronte alla condanna e all’uccisione di persone, altre sono state spettatrici indifferenti o anche partecipi fino a compiacersi; e ancora chissà quante hanno inveito sulle vittime e le hanno derise e dileggiate.
Tante altre sono rimaste mute nel dolore alcune con una partecipazione così profonda che ha motivato scelte di vita, come poco tempo fa, alla sua morte veniva ricordata Tina Anselmi che prese la decisione di diventare partigiana dopo essere stata presente all’esecuzione di 13 persone.
Il Vangelo di questa domenica (Luca 23, 35-43) nella festa di Cristo Re dell’universo, ci narra la situazione immediatamente precedente alla morte di Gesù sulla croce. La gente sta a guardare come si trattasse di uno spettacolo: questo in realtà è lo scopo delle uccisioni in luogo pubblico, proprio perché servano da monito.
I capi del popolo invece si fanno beffe di lui per giustificare così in qualche modo la loro decisione di morte. Se fosse davvero il Messia di Dio si salverebbe come ha salvato altri e così dimostrerebbe il suo potere.
Dato che così non è la sua pretesa viene ora punita.
I soldati: si uniscono agli scherni, danno da bere aceto al condannato; non mostrano nessuna compassione, nessun fremito umano; sono solo esecutori di ordini disumani.
A conferma della decisione, del sarcasmo e della provocazione c’è anche un cartello collocato sopra la testa di Gesù: “Quest’uomo è il re dei Giudei”. Sul luogo pubblico dell’esecuzione sono fissate nel terreno altre due croci per altri due condannati; sono probabilmente appartenenti al gruppo degli zeloti che con le armi combattono per la liberazione del popolo ebraico dal dominio dell’Impero di Roma; una lotta impari, ma espressione della volontà di un mondo di giustizia, libertà e uguaglianza, a cominciare dalla denuncia e dalla condanna dei poteri che opprimono e umiliano.
Uno dei due crocifissi si associa alla derisione dei capi del popolo e dei soldati e l’altro lo rimprovera: la stessa condanna a morte unisce loro e Gesù ma con una diversità profonda.
Sia loro, sia Gesù hanno manifestato diversamente il desiderio e la volontà di cambiare il mondo: Gesù proponendo l’amore come dedizione totale e gratuita fino a darle la vita; loro due proponendo e usando la violenza delle armi.
Si può dire comunque che certamente Gesù è vicino a loro e non al potere.
La tre croci che ora li uniscono nella terribile sofferenza evidenziano brutalità e la disumanità del potere, nell’intreccio fra gli aspetti istituzionali, politici, militari e religiosi. Il terrorista zelota che rimprovera il suo compagno chiede a Gesù di accoglierlo, di capirlo nella sua volontà di bene, anche nella sua convinzione di cambiare il mondo con la violenza.
Si riapre la grande questione del rapporto fra non violenza attiva come contenuto, progetto e pratica e violenza attiva e scelta della lotta armata nei confronti del potere tirannico. Il Vangelo propone la prima strada.
Poi aggiunge: “Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo regno”. E Gesù: “Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso”.
Gesù aveva detto che il Regno di Dio è in mezzo a noi, è in noi; ora nel luogo della morte si attua questa esperienza dell’accoglienza e del riconoscimento di un uomo eliminato dal potere.
Si potrebbe dire che il “primo cittadino” del regno è questo zelota terrorista che, riconoscendo l’amore di Gesù si sente da lui accolto e salvato.