Il Vangelo di questa domenica (Luca 24, 13-35) ci racconta uno degli incontri di Gesù risorto con due dei suoi discepoli. La scansione del racconto, la profondità e le emozioni che suscitano i momenti dell’incontro inducono ad avvertirlo con immediatezza e risonanze particolari.
Due discepoli dunque da Gerusalemme vanno verso Emmaus, un villaggio distante circa 11 chilometri. Non si allontanano solo da un luogo fisico, ma da un progetto, da una speranza, dalla relazione speciale con il loro Maestro. Sono molto tristi e commentano fra di loro i tragici fatti accaduti i giorni precedenti.
Uno di loro si chiama Clèopa, l’altro non ha nome, perché può essere ciascuno di noi.Il loro parlare sottovoce è lo stesso che avviene dopo una morte, specie se tragica e particolarmente crudele e ingiusta.
Mentre si scambiano le loro considerazioni Gesù si avvicina e inizia a camminare con loro, “ma non lo riconoscono, perché i loro occhi sono come accecati”.
Quando il dolore è devastante non si riconoscono o solo per un momento e senza o con minimi riscontri positivi le presenze, le parole, i segni di speranza. Si è appunto come accecati.
Gesù li sorprende quando chiede loro di che cosa stanno parlando. Si sentono ancor più tristi nel constatare che qualcuno non sa di fatti così gravi, dell’uccisione sulla croce del profeta Gesù, loro Maestro. Ed esprimono la delusione e lo sconforto profondi che stanno vivendo: “Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo di Israele”.
E’ un’espressione che sentiamo nostra, che abbiamo più volte pensato e anche pronunciato vivendo situazioni della vita e della storia di sconferma e delusione: e questo rispetto alla nostra storia personale, alle relazioni di amore, di amicizia; alla partecipazione a progetti di accoglienza e solidarietà. Speravamo di rilevare nel 2017 cambiamenti molto più positivi: rispetto alla giustizia, alla pace, all’accoglienza, all’affermazione concreta dei diritti umani di ogni persona, comunità e popolo; alla custodia, alla protezione della terra e di tutte le espressioni della vita con atteggiamenti e comportamenti improntati alla relazione e non più al dominio e all’usurpazione. Noi speravamo, ma la realtà non è corrispondente.
I due discepoli raccontano allo sconosciuto viandante che li accompagna: alcune donne sono andate al sepolcro e non hanno più trovato il corpo; sono tornate a raccontare di aver avuto una visione di alcuni angeli che le hanno assicurate che Gesù è vivo. Altri del gruppo sono andati e hanno confermato, però Gesù non l’hanno visto. Lo sconosciuto allora con una comunicazione profonda entra nel loro animo, li aiuta a vivere la memoria storica di profeti, di giusti, di martiri del loro popolo, come a dire: loro hanno vissuto con coraggio e speranza anche le situazioni più dolorose e difficili.
La loro forza interiore può essere veramente di esempio e infondere luce e forza. E questa ugualmente per noi oggi: attingere al patrimonio dei profeti e dei martiri nei momenti di delusione e sconforto.
Sono arrivati al villaggio e Gesù finge di voler continuare il viaggio; l’invocazione dei due amici: “resta con noi perché il sole ormai tramonta” rivela il desiderio che la sua presenza e la sua compagni si prolunghino. Si mettono a tavola in un luogo di ristoro. Gesù prende il pane, prega, lo condivide con loro. In quel momento i loro occhi si aprono e riconoscono che è Gesù e commossi si dicono l’un l’altro come durante il tragitto la sua presenza e le sue prole erano entrate nel loro animo e avevano comunicato fiducia e speranza. Condividere il pane insieme ora è una conferma delle intuizioni e dell’apertura interiore già sperimentati.
Gesù sparisce dalla loro vista: incontrato e sempre da incontrare; scoperto e sempre da scoprire per non ridurlo a oggetto dei nostri pensieri e dei nostri progetti. In sintesi tre insegnamenti di fondo l’uno l’altro intrecciati: camminare insieme con Gesù e con gli altri; comunicare con profondità, vivere la concretezza della condivisione.