Siamo venuti a conoscenza da testimonianze dirette o mediate, ma ugualmente profonde, dei vissuti delle persone che nella loro storia caratterizzata da idealità, dedizione, impegno, perseveranza hanno avvertito il profilarsi della morte proprio come conseguenza delle loro scelte, Sono veramente innumerevoli le storie di donne e di uomini, molti i giovani: militanti sociali, ambientalisti, sindacali, politici; di insegnanti, suore, preti, vescovi, di tanta gente considerata “comune”, in realtà da ritenersi esemplare.
Ci si può riferire ai condannati a morte della Resistenza italiana ed europea e delle tante Resistenze su tutto il Pianeta.
Si possono ricordare alcuni nomi più conosciuti e con essi i moltissimi non conosciuti ai più, però esemplari per chi li ha conosciuti, per le loro comunità.
Diciamo Ghandi e Luter King, maestri esemplari di nonviolenza attiva morti di morte violenta; il pastore Bonhoeffer impiccato dai nazisti a Flossemburg il 9 aprile 1945 per al sua ferma opposizione al demone del nazismo; i magistrati e le donne e gli uomini delle scorte uccisi dalle mafie; tanti nel loro impegno sentivano iscritta la morte. Più volte se la sono immaginata e ne hanno anche parlato.
Pensiamo ancora a don Puglisi e a don Diana consapevoli delle conseguenze delle loro parole e azioni.
Il vescovo Romero, voce dei poveri, dei senza voce ucciso a San Salvador il 24 marzo 1980 e proclamato beato il 23 maggio era stato frequentemente minacciato di morte.
Così si era espresso: “La Chiesa deve denunciare ciò che viola la vita, la libertà e la dignità dell’uomo. Non chiede la vita ma da la vita per difendere la vita. Il mio compito è di essere voce di questa Chiesa. Colui che si impegna con i poveri deve correre lo stesso destino dei poveri: scomparire, essere catturato, torturato, ucciso. Come pastore della Chiesa e del popolo io sono obbligato a dare la vita per coloro che amo... .Sarebbe triste che in una patria in cui si sta assassinando tanto orribilmente non ci fossero fra le vittime anche dei sacerdoti. Essi sono la testimonianza di una Chiesa incarnata nei problemi del popolo. Se le minacce nei miei confronti dovessero compiersi già adesso offro a Dio il mio sangue per la redenzione e la risurrezione del Salvador... .Se mi uccideranno risorgerò nel popolo salvadoregno…perdono e benedico quelli che lo faranno…”.
Tutti questi martiri: donne, uomini, comunità sono in profonda sintonia con il sentire e le parole di Gesù di Nazaret (Vangelo di Matteo 16, 21-27) che via via prende coscienza di quello che gli accadrà: “anziani del popolo, capi dei sacerdoti, maestri della legge mi faranno soffrire molto, poi sarò ucciso, ma al terzo giorno risusciterò.”
E’ consapevole delle conseguenze della sua radicalità, del suo amore rivoluzionario, del Dio umanissimo che comunica, delle crescenti reazioni contrarie da parte delle classi dirigenti, per primi i sacerdoti della religione del tempio.
C’è in Lui, nel profondo, la percezione che una vita donata per amore non può finire e che continuerà oltre la morte violenta che subirà.
Gesù come guida, ma si può ugualmente dire in mezzo a tante persone, lui martire insieme ai martiri che ne hanno seguita in modo piò o meno consapevole ma autentico e veritiero, la strada. Pietro vorrebbe dissuaderlo perché segue la logica del potere e della gloria di questo mondo, ma di fatto l’amore di Gesù supera queste resistenze e guida alla fedeltà e alla coerenza coloro che se ne lasciano coinvolgere.
Domenica 3 Settembre: riprendono le celebrazioni alle 8.00 e alle 10.30