In questa domenica si celebra la festa del “Corpus Domini”, con riferimento al Vangelo della cena di Gesù di Nazaret con i suoi discepoli (Marco 14,12-16.22-26).
Il riferimento al “Corpo e sangue di Gesù” può facilmente diventare l’attenzione ad “un oggetto sacro” piuttosto che la dinamica di un coinvolgimento.
Più si chiude l’Eucarestia nelle chiese e nei tabernacoli più la si distacca dalla storia, dalla vita, dalle relazioni.
Più diventa oggetto di adorazione e più cresce il pericolo di una religione spiritualistica, di devozioni personali e di gruppo, fortemente distanti dalla fede incarnata nella storia, che sollecita ad una concreta prossimità.
Non si esclude l’adorazione, ma come momento di profondità e di ripresa di forza e coraggio per la dedizione e l’impegno nella storia.
Non si elimina la processione, ma con la memoria storica della sua ambivalenza, concretizzata nel versante d’ombra dalla solennità conformista e dalla constatazione che in essa hanno camminato accanto all’Eucarestia, segno dell’amore incondizionato, dittatori, carnefici, mafiosi, uomini del potere corrotti.
Gesù di Nazaret nei momenti ultimi della sua vita totalmente dedicata alle persone, mentre sedeva a tavola per celebrare la Pasqua con i suoi discepoli ha attribuito al pane spezzato e al vino bevuto dal calice il segno concreto, profondo e misterioso della sua presenza vera fra di noi ogni volta che compiamo questo gesto per renderla presente e viva, per ricordare in modo partecipato e attivo il suo insegnamento; per attingere da essa luce e forza per la testimonianza coerente nella nostra vita, nella storia e nella Chiesa di oggi.
Spesso si è ridotta la celebrazione dell’Eucarestia (della Messa) ad un rito a cui assistere, non al coinvolgimento profondo personale e comunitario; si è assegnato al prete il ruolo di “altro Cristo”, mentre è il popolo di Dio, la comunità che celebra l’Eucarestia, nella quale il prete vive il suo compito di servizio umile e disinteressato; si è assegnato solo a lui il compito di commentare la Parola di Dio, mentre insieme a lui chi si sente dovrebbe arricchire la celebrazione del suo contributo di riflessione di preghiera; si è deciso rigidamente un rituale, non prevedendo, anzi dissentendo dalla creatività dei partecipanti.
In un rito così determinato è impossibile l’accostamento alle persone, ai fatti della storia, ai drammi, alle attese, alle speranze delle persone.
E’ impossibile accostare quella reale e misteriosa presenza nel pane dell’Eucarestia alla presenza di Gesù dello stesso Gesù in chi ha fame e sete, in chi è denudato di dignità e di vestiti, in chi è ammalato nel corpo, nella psiche, nell’animo, in chi è carcerato, in chi è forestiero.. .
Se purtroppo tanti sono i fatti negativi di chiusura dell’Eucarestia in quella sacralità che diventa segregazione dall’umanità, tanti sono quelli opposti di relazione, vicinanza, profondo coinvolgimento.
Il ricordo di uno di essi, vissuto da Monsignor Romero, vescovo martire del Salvador ucciso il 24 marzo 1980, mentre celebrava l’Eucarestia che sarà proclamato santo (insieme a papa Paolo VI) il 14 ottobre prossimo.
In una delle tante situazioni drammatiche condivise con il suo popolo, ad Aquilers, un grosso centro di contadini dove avevano ucciso il gesuita padre Rutilio Grande, centinaia di militari assediano, torturano, violentano, profanano il tabernacolo. Arriva il vescovo, concelebra con altri dodici sacerdoti e con il suo popolo, denuncia la ferocia, partecipa con amore alla sorte dei contadini e dice loro: “Voi siete l’immagine del Crocifisso. Sono venuto a dirvi che voi siete il Cristo che soffre nella storia”. E’ l’Eucarestia che si fa vita, dentro alla storia.