Può diventare fin troppo facile commentare nelle chiese in questa domenica lo straordinario segno di condivisione e di solidarietà di Gesù che ha concretizzato la possibilità di sfamare una grande folla di persone (Giovanni 6,1-15).
Si può esaltare “la potenza” di Gesù a prescindere dai presenti: i discepoli, le tante persone della folla, il ragazzo che ha portato con sé alcuni pani e pesci.
Si può ammirare e applaudire la sua straordinarietà, sfocando, in questo modo, sminuendo il suo essere pienamente uomo.
Si può sentire una generica esortazione alla carità occasionale con chi ha fame.
Si può ridurre il segno molto concreto nella sua materialità ad una dimensione spiritualista accentuando magari il riferimento al Pane dell’Eucarestia come se fosse separabile dalla vita e dalle storie delle persone, delle comunità e dei popoli.
Oppure, come dovrebbe avvenire, si può avvertire tutta la provocazione dell’evento.
La folla ha fame e Gesù si preoccupa di provvedere. I discepoli manifestano fatalismo, rassegnazione e impotenza. Per loro non c’è soluzione alcuna, anche perché troppo poco è il denaro per comprare cibo per tanta gente, qualora poi si possa trovare.
V’è qualcosa in apparenza insignificante: un ragazzo ha cinque pagnotte d’orzo e due pesci arrostiti.
Gesù sollecita i discepoli a far sedere la gente per terra, sull’erba; poi prega e inizia a distribuire a tutti pane e pesce a volontà. Quando tutti hanno mangiato a sufficienza invita i discepoli a raccogliere i pezzi avanzati perché nulla vada perduto. E con essi riempiono dodici cesti.
Non interessa sapere come è avvenuto, bensì accettarne la provocazione.
Qualcuno, ad esempio, ha commentato che tante persone di quella folla avevano portato qualche provvista per sé che, frenate da una forma di egoismo, la trattenevano senza condividerla.
La presenza, il messaggio, la forza interiore di Gesù avrebbero sciolto questa durezza di cuore e provocato quella condivisione con la quale tutti i presenti si sono sfamati, lasciando anche del cibo in avanzo.
Qualcun altro ha obiettato che questa interpretazione sarebbe riduttiva del senso profondo attribuito all’evento da Gesù e dalla sua forza di vita.
In realtà l’interpretazione del superamento dell’egoismo e della diffidenza può essere di aiuto alla comprensione.
In realtà è un segno che intende scuotere le nostre sensibilità e coscienze nella situazione drammatica di questo mondo.
L’1% della popolazione mondiale possiede più della popolazione restante, cioè del 99%.
Le otto persone più ricche del mondo possiedono quanto 3 miliardi e 800milioni delle altre.
Il 10% consuma il 90% dei prodotti e al 90% resta il 10%.
In Etiopia, Somalia, Sud Sudan, Nord del Kenya. Attorno al lago Ciad si sta verificando, secondo l’ONU, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni, con 30milioni di persone a rischio di fame.
Anche se in una situazione alquanto diversa è molto grave e preoccupante che in Italia ci siano 5 milioni di poveri assoluti.
Cosa pensare, come reagire, cosa fare?
Il Vangelo della condivisione dei pani e dei pesci ci sollecita prima di tutto a nutrire noi stessi con informazione veritiere, sensibilità, coscienza etica e politica e a diffondere questa consapevolezza nelle comunità cristiane e nella società con l’impegno a incidere sulle istituzioni e sulla politica, di progettare concrete solidarietà.
Certamente sulla faccia del Pianeta ci sono tanti segni della condivisione dei pani e dei pesci: ne sono coinvolti nelle popolazioni locali volontari, missionari, suore, ci sono seri progetti di cooperazione internazionale.
Anche in Italia e nella nostra Regione questi segni sono presenti; si pensi anche alle mense in cui ogni giorno una folla enorme può sfamarsi.
Sono segni di speranza e di sollecitazione a osare maggiormente decisioni, iniziative, esperienze, per scegliere uno stile di vita sobrio ed essenziale per liberarsi dal consumismo e dal materialismo che sono una espressione dell’ingiustizia strutturale.
Il segno evangelico della condivisione dei pani e dei pesci è una critica radicale al sistema del capitalismo e dell’ingiustizia strutturale del Pianeta.