Si può vivere una esperienza positiva importante di solidarietà, esserne coinvolti profondamente tanto da essere sollecitati a riproporla; contrariamente si può consumarla limitandola e racchiudendola in quel momento determinato, senza esiti successivi.
Il Vangelo di questa domenica (Giovanni 6, 24-35) ci sollecita a riflettere proprio su queste dimensioni. L’esperienza della condivisione dei pani e dei pesci da parte di una moltitudine per opera di Gesù è stata una sorpresa inattesa, incredibile, per tutta quella gente.
Molte persone si mettono alla ricerca di Gesù che con i discepoli si era recato sull’altra sponda del lago di Tiberiade.
Gesù, quando arrivano, dice loro che lo cercano solo perché hanno mangiato e si sono sfamati, ma non per cercare di capire il significato profondo di quell’esperienza; in fondo desiderano che si ripeta, magari più volte, senza preoccuparsi per nulla di diventare solo riceventi e dipendenti e di allontanare così ogni assunzione di responsabilità.
Nel dialogo che via via si approfondisce Gesù si propone come il pane della vita: “Io sono il pane che da la vita”, che cioè contribuisce concretamente a sfamarsi e insieme a crescere in sensibilità, consapevolezza, libertà e responsabilità per la giustizia e il pane di tutti.
Un esempio accostabile: sabato 7 luglio c’è stata la proposta di don Luigi Ciotti presidente di Libera di indossare una maglietta rossa per interrompere questa emorragia di umanità, per vivere la memoria dei migranti vittime in mare, con attenzione particolare ai bambini e anche per esprimere vicinanza e partecipazione ai genitori che alla partenza della traversata fanno indossare ai lor bambini “qualcosa” di rosso per attirare l’attenzione in caso di pericolo. L’iniziativa organizzata in brevissimo tempo ha avuto una larga e diffusa partecipazione. Un segno molto importante in questo periodo di degrado di umanità.
Don Luigi nei giorni successivi ha inviato una riflessione: “E’ stata una esperienza bella, significativa e per molti versi inaspettata, ma proprio per questo è importante farne tesoro, darle continuità per dire basta alla perdita di umanità, all’innalzamento dei muri, alla rimozione della memoria e alla diffusione delle menzogne. Per opporsi non alle paure – che sono un sentimento umano ma alla loro strumentalizzazione e degenerazione in cinismo e rancore. Il tempo che viviamo è segnato da una dittatura dell’effimero, da un eterno presente in cui tutto accade senza lasciare traccia. Contano l’emozione, il clamore, la polemica del momento ma poi tutto finisce lì, soppiantato da altre emozioni, clamori e polemiche. Calato il polverone dell’emergenza il paesaggio che si offre ai nostri occhi è sempre lo stesso, solo più desolante e trascurato.
E’ bene esserne consapevoli se vogliamo custodire lo spirito con cui abbiamo indossato quelle magliette: andare oltre la contingenza e l’emergenza. Dirò di più: andare oltre la commozione e l’indignazione. Oggi non bastano più. Come non bastano più le parole: in un’epoca in cui se ne abusa irresponsabilmente, anche quelle autentiche rischiano di essere sommerse dal chiacchiericcio.
Non è la contingenza il banco della prova, ma la coerenza e la determinazione con cui si compie un cammino – e questo vale ugualmente per i pani e i pesci condivisi-. Nella coscienza dei limiti, beninteso: nessuno è insostituibile, ma nessuno può fare al nostro posto quello che è nostro compito fare”, nell'impegno per la giustizia, per il pane condiviso tra tutti; nel riferimento e nell'annuncio autentico di Gesù di Nazaret che comunica a noi tutti libertà e responsabilità, non sottomissione e dipendenza.