Ci sono nella storia delle persone, delle comunità e dei popoli tante esperienze, molte di esse narrate, conosciute in cui due, tre persone, o piccoli gruppi in luoghi ritirati, nascosti hanno fra loro condiviso la sensazione e il commento di quello che di grave, del pericolo della stessa vita, sarebbe potuto accadere, in particolare a qualcuno di loro. E questo soprattutto in situazioni di conflitto, di resistenza, di rischio percepibile di arresti, torture, morti violente.
Si pensi ad esempio nel nostro Paese alla lotta per la liberazione dal fascismo e dal nazismo. E alle tante lotte su tutto il Pianeta per resistere e liberarsi da situazioni di impoverimento, oppressione, violazione dei diritti umani, violenza, più o meno con queste parole: “pensiamo a cosa può accadere se continuiamo la nostra azione in questo modo; consideriamo il pericolo soprattutto per lei, per lui, per loro, in quanto riconosciuti come leader e quindi avversati dal potere che cercherà di eliminarli”.
Il Vangelo di questa domenica (Marco 9,30-37) ci racconta che Gesù e i suoi discepoli attraversano il territorio della Galilea ma che Lui non vuole si sappia dove sono; nel ritiro e nel nascondimento dice loro che Lui, il Figlio dell’Uomo subirà arresto, tortura e morte violenta, non però disperata e senza senso in questa totale dedizione della vita che continua anche dopo la morte fisica.
I discepoli non capiscono le sue parole convinte e preoccupate perché prigionieri della logica e del successo, della vittoria, del potere. Non osano rivolgergli domande per paura di approfondire.
Lungo la strada discutono di questo fra loro cercando di attenuare la disponibilità alla donazione e il rischio che comporta e di stabilire fra loro, i gradi di importanza.
Arrivati a Cafarnao Gesù chiede loro il contenuto della discussione. Non rispondono perché sentono la totale distanza fra le sue parole e i contenuti del loro dibattito. Gesù parla di donazione totale, di fedeltà e coerenza e loro si azzardano ad attenuarne contenuti e modalità, a ridurre i rischi, a valutare strategie e opportunità per raggiungere ruoli di potere.
Il Maestro si siede, li chiama attorno e dice: “Se uno vuol essere il primo deve essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Sono quindi lo spirito e la concretezza del servizio alle persone, alle comunità, al bene comune le dimensioni e le qualità che rendono profondamente umani, che fanno grandi le persone. Questo appello e insieme questa verifica riguardano tutti noi, in particolare chi nella società, nella politica, nella Chiesa pronuncia queste parole e poi copre l’incoerenza nella loro attuazione con atteggiamenti di paternalismo, di ricerca del consenso emotivo. Rende testimonianza della grandezza nel servire solo chi concretamente nei gesti più evidenti e in quelli più nascosti attua concretamente, quotidianamente questa disponibilità.