Non è facile, ma possibile e soprattutto umano accogliere le persone che hanno sbagliato, anche gravemente.
Il Vangelo (Luca 6,37-46) non propone, ad esempio, l’organizzazione delle carceri ma esprime quella sensibilità, dimensioni e atteggiamenti di fondo che inducono alla umanizzazione della pena, come afferma la nostra Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
E’ molto importante la giustizia giusta, mai però priva di umanità. Questo può essere il senso della esortazione evangelica: “Non condannate gli altri e Dio non vi condannerà. Perdonate e Dio vi perdonerà”.
Sono da considerare le relazioni personali e insieme le dimensioni strutturali; c’è la sollecitazione a liberarsi dalla tendenza a giudicare gli altri, ad alimentare poi questi giudizi con altre persone compiacenti, con parole e atteggiamenti che nulla hanno a che fare con il rapporto amorevole della correzione fraterna, perché si concentrano unicamente sulla maldicenza e la denigrazione; questo diventa un giudizio negativo, uno stigma per una persona la cui vita in realtà si svolge su tutt’altro piano, in tutt’altra direzione, del tutto sconosciuti ai denigratori.
Ancora molto diretto ed eloquente il Vangelo: “E tu perché stai a guardare la pagliuzza che è nell’occhio di un tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come osi dirgli: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio mentre tu non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio, allora vedrai chiaramente e potrai togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello”.
Quando Gandhi ci parla della verità dice che è da sperimentare continuamente lungo il conflitto fra dignità umana, misura universale e tutti i soprusi costruiti dalle menzogna e violenza, più precisamente danno portato agli altri.
La verità è “aisha” cioè “innocentia”, non far male agli altri. La non violenza non è una verità fra le altre, è la verità che, inseguita nelle sue inesauribili profondità, si identifica con Dio.
Equilibrio interiore personale, relazioni non violente, positive con gli altri per contribuire alla verità, per rendere più umano questo mondo: questi dovrebbero essere la prospettiva e l’impegno.
Dice ancora il Vangelo con la profondità che gli è propria: “Ciascuno esprime con la sua bocca quel che ha nel cuore”; e ancora: “la qualità di un albero la si conosce dai suoi frutti”.
Si evidenzia la questione sempre aperta del rapporto fra ambiente familiare, culturale, etico, religiosi ed educazione personale alla sensibilità, all’amorevole compassione, all'altruismo.
Quello che c’è nel cuore entra, viene ricevuto, elaborato e via via può diventare orientamento, nucleo portante per la vita.
L’albero che produce frutti buoni cresce poco a poco: necessita di un terreno buono, di accudimento continuo.
Nell’attuale società questo importante rapporto tra persone singole, nuclei affettivi, esperienze scolastiche, sociali, sportive, religiose, del tempo libero è marcato dalla complessità: tale, tante e diverse sono le sollecitazioni che è più difficile che si costituisca il nucleo interiore portante delle persone, il cuore profondo, l’albero dai frutti buoni.
Nell’ambivalenza si scorgono segni positivi, straordinari e situazioni di diffusa fragilità con le possibili conseguenze.
Una questione impellente è quella dei social, della loro ambivalenza, della sostituzione delle relazioni umane dirette.
Ciascuno di noi è chiamato, secondo le sue possibilità, a continuare a seminare il bene con la credibilità di praticarlo.