Lo straordinario Gesù di Nazaret non fa prediche ideologiche, spiritualiste, sacrali; racconta la vita, le vicende umane che per il loro significato diventano paradigmi, si avvertono come universali; in esse c’è un rapporto continuo fra umanità e divinità, fra realtà e idealità, fra attese e decisioni, fra le situazioni che sembrano impossibili e poi diventano possibilità nuove, sorprendenti, suscitatrici di vita, di un’umanità che si vorrebbe diffondere.
Per lungo tempo e per troppe volte è stato presentato un Dio autoritario, giudice severo e punitivo, da temere, fuggire, ingraziarsi; un Dio che premia e castiga, che discrimina e condanna, che separa e allontana.
Questo Dio è stato niente altro che la proiezione di una religione istituzionale e del potere nelle sue diverse forme; ad una religione e ad una società autoritarie, repressive e punitive, è servito e serve questo Dio.
Gesù di Nazaret rivoluzione questa immagine di Dio facendo presente nella sua persona il Dio umanissimo della compassione, della attenzione, dell’ascolto, del superamento di ogni separazione, divisione e discriminazione fra le persone, fra puro e impuro, sacro e profano, ponendo sempre, prima e soprattutto le persone, ciascuna persona.
Coloro che si sentono rappresentanti e tutori della ortodossia, della religione ufficiale lo criticano fortemente perché gli agenti delle tasse e altre persone di cattiva reputazione si avvicinano a Gesù per ascoltare il suo insegnamento.
In risposta Gesù racconta le tre parabole della misericordia, in un crescendo che esprime il suo culmine nella storia di un padre e dei suoi figli.
Il più giovane chiede in anticipo la sua parte di eredità, se ne va da casa, la vende e se ne va in un paese lontano. Si abbandona ad una vita disordinata e spende tutti i suoi soldi.
Il desiderio della libertà senza vincoli, senza responsabilità, in una esaltazione dell’ego personale, del consumo dei soldi, delle relazioni, del tempo.
La grave miseria della regione evidenzia ancor di più la sua difficoltà… Si ritrova affamato, a fare il guardiano dei maiali.
Riflette sulla sua condizione e pensa di tornare a casa, sperando che il suo padre di cui riconosce l’umanità lo prenda come uno dei suoi dipendenti, con probabilità nella azienda agricola della famiglia. E così si mette in cammino verso al casa paterna.
Il padre ha sofferto molto per lo strappo del figlio; ha continuamente pensato a lui, lo ha atteso. Per questo quando lo scorge ancora lontano commosso gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia.
Non ascolta le scuse del figlio e dà disposizioni per organizzare una grande festa per il suo ritorno perché “questo figlio era per me come morto e ora è tornato invita, era perduto e ora l’ho ritrovato”.
Questo padre esprime la sensibilità e l’atteggiamento di Dio che Gesù rende presente nella sua umanissima persona.
Non segue i criteri del merito e della punizione, non fa nessuna valutazione di opportunità; esprime il suo amore incondizionato che accoglie chi, secondo i nostri criteri, non si doveva per nessun motivo accogliere.
E’ l’amore gratuito che genera vita e speranza e che non è capito dal fratello maggiore stimabile per il senso del dovere e per fedeltà al lavoro ma incapace di uno slancio d’ulteriorità, di andare oltre al merito e al demerito.
La Chiesa, se annuncia il Vangelo di Gesù, deve essere misericordiosa e accogliente; seguire questo straordinario insegnamento nella laicità della storia significa diventare sempre capaci di umanità profonda.