La parabola del Vangelo di questa domenica non è di immediata comprensione (Luca 16, 1-13). Si prova a cercarla per percepirne il significato per noi oggi.
La luce ci proviene dalla considerazione conclusiva nitida, forte, inequivocabile nel suo contenuto: “Nessun servitore può servire due padroni: perché o amerà l’uno o odierà l’altro; oppure preferirà il primo o disprezzerà il secondo. Non potete servire Dio e il denaro.”
Nella Bibbia non si parla di ateismo, ma di idolatria: di situazioni, possessi, cose che prendono il posto di Dio, diventano assoluti da cui si dipende e si è disponibili a tutto per assecondarli e venerarli. L’idolo maggiormente determinante è il denaro quando diventa quell’assoluto che chiede corruzione, illegalità, imbrogli, furti, sfruttamento delle persone, impoverimento di latitudini, distruzione dell’ambiente vitale. È l’idolo del denaro che determina impoverimento di milioni di persone, fame, mancanza di assistenza sanitaria, scuole, lavoro, abitazioni dignitose; che si gonfia con la produzione e il commercio delle armi, con l’usurpazione, lo sfruttamento, l’inquinamento della terra e di tutti i viventi; che ancora si ingrandisce con l’evasione, la corruzione, le diverse mafie presenti in tutte le regioni e in tanti ambiti, ad esempio dalla produzione agricola al cibo.
È impressionante l’accumulo di ricchezza in mano a pochi, a cominciare dal nostro Paese, in cui ci sono 5 milioni di poveri assoluti, (pari all’8,4% dei residenti); in povertà relativa si trovano 9 milioni di persone. Fra questi e quelli 1 milione e 200 mila minori. I disoccupati sono circa 3 mila; la disoccupazione giovanile supera il 31%. A metà 2018 in Italia il 5% della popolazione detiene il 72% della ricchezza nazionale netta, mentre il 60% più povero ne possiede soltanto il 12,4%.
Papa Francesco anche nell’enciclica “Laudato si” definisce l’economia che determina queste situazioni nelle comunità locali e in quella planetaria, economia di morte perché uccide, impoverisce, colpisce la dignità di gran parte dell’umanità. Porre e praticare un’economia di vita, attenta alla dignità di ogni persona, comunità e popolo pretende un altro modo, proprio alternativo di guardare e progettare il mondo basato sulla giustizia, sull’equità, sull’attenzione costante al bene comune e al bene della terra, nella visione di un’ecologia integrale, per rispondere all’unico grido dei poveri e della terra.
Le due questioni, come ribadisce papa Francesco, sono strettamente, indiscutibilmente unite. In questo contesto può trovare interpretazione la parabola del Vangelo. L’indicazione dell’uomo molto ricco è già un’evidenza della iniquità della ricchezza quando diventa espressione di grandezza e di dominio e di fatto è realizzata con lo sfruttamento dei poveri. Nella gestione di quella grande tenuta si verifica uno scandalo amministrativo. L’uomo preposto alla gestione che gode di notevole libertà e autonomia viene licenziato dal proprietario dopo l’accertamento di una cattiva amministrazione. Allora per poter vivere escogita di farsi amici i debitori del padrone riducendo loro il debito contratto. Il padrone esprime ammirazione per la capacità di reagire di quest’uomo di fronte all’emergenza. Certo resta molto grave la sua disonestà e il giudizio severo che “ogni ricchezza puzza di ingiustizia”.
“Se gli uomini di questo mondo, nel loro rapporto con gli altri, sono più astuti dei figli della luce” ne deriva l’esigenza e l’urgenza di sensibilità, cultura, etica e politica di apertura, intelligenza, inventiva e impegno per costruire giustizia e legalità, economia di vita per tutti.
Si tratta, riecheggiando il Magnificat di rovesciare il denaro dal suo trono di signore assoluto e di restituirlo al servizio dell’economia giusta e della possibilità di vita degna per tutti.