I lebbrosi di cui ci parla il Vangelo di questa domenica (Luca 17, 11-19) sollecitano la nostra attenzione ai malati di lebbra e alla loro storia; all’evoluzione positiva riscontrata: dal nascondimento, dalla vergogna e dalla paura, dal rifiuto e dall’esclusione al riconoscimento della pari dignità, all’accoglienza, alle cure, alla guarigione, a progetti di autonomia e di lavoro, di relazioni significative. Esemplari sono le disponibilità e la dedizione di tante persone che hanno condiviso la vita dei lebbrosi anche come dedizione totale: suore, preti, religiosi, medici, infermieri, volontari. E insieme le persone e le associazioni che hanno animato sensibilità e sollecitato a concreta solidarietà. In Friuli al proposito una gratitudine particolare va espressa all’associazione “I nostri amici lebbrosi” e al suo ispiratore indimenticabile dott. Daniele Sipione.
Il libro del Levitico ci presenta in modo dettagliato la prassi di esclusione dei lebbrosi: motivazioni igienico-sanitarie e religiose si saldano nel decretare l’espulsione dalla comunità. Una malattia talmente grave ed evidente è interpretata ancora più delle altre come una punizione, un castigo di Dio.
Gesù di Nazaret sovverte radicalmente questa concezione e prassi: il Dio umanissimo presente nella sua persona vive l’attenzione, la compassione, la premura e la cura per ogni persona, in qualunque situazione e condizione si trovi. Il lebbroso è prima di tutto una persona con la sua storia da considerare e in cui coinvolgersi per comunicare vicinanza, conforto e aiuto concreto.
I lebbrosi vivono lontani dai villaggi; secondo le prescrizioni devono presentarsi trasandati con la barba incolta e gridare la loro presenza quando sentono i passi di qualcuno che si avvicina. Alle volte vivono in gruppo, probabilmente per riuscire almeno in piccola parte a non sentirsi completamente emarginati; condividono la medesima condizione: una solidarietà fra emarginati!
Appena Gesù vede i dieci lebbrosi li esorta ad andare dai sacerdoti e a presentarsi a loro. Nell’eventualità rara della guarigione gli uomini della religione erano chiamati ad attestarla; dato il ruolo escludente della religione, la stessa confermava la possibilità di rientrare nella comunità. Mentre camminano improvvisamente si accorgono della guarigione. Uno di loro ritorna indietro lodando Dio; è un samaritano. Gesù osserva con stupore che solo lui straniero sente il bisogno di ringraziare, non gli altri nove. E gli dice: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Tutti e dieci guariti, uno solo salvato perché trova il senso profondo di quello che gli è avvenuto, ne riconosce l’autore e gli esprime profonda gratitudine. Gli altri nove guariti hanno osservato le procedure previste, l’uomo di Samaria invece si pone oltre ad esse; avverte che la sua guarigione riguarda insieme il corpo e l’anima che formano un tutt’uno e che l’Uomo di Nazaret ha curato ambedue.
I lebbrosi assurgono a paradigmi degli esclusi di sempre e Gesù che accoglie, guarisce e salva è una provocazione a non trascurare e abbandonare, ad accogliere, prendersi cura e accompagnare ogni persona qualsiasi sia la sua condizione, provenienza, colore della pelle, cultura, fede religiosa.