Il Vangelo di questa domenica (Luca 18, 1-8) propone una parabola.
Una povera vedova, per una questione presenta lei stessa, direttamente l’istanza ad un giudice, un uomo arrogante, senza riferimenti a Dio., senza rispetto delle persone.
Data l’insistenza di questa povera donna che lui sempre più sente come importuna, le risponde per non aver più scocciature.
Gesù commenta che: “se quel giudice disumano si comporta in questo modo, come si può pensare che Dio non faccia giustizia ai suoi figli che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? Vi assicuro che Dio farà loro giustizia e molto presto! Ma quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla terra troverà ancora la fede?”
Il testo del Vangelo inizia con la motivazione di fondo della parabola di “insegnare ai discepoli che bisogna pregare sempre. Senza stancarsi mai”.
Quindi sono tre le sollecitazioni su dimensioni importanti, inseparabili l’una dall’altra: la preghiera, la giustizia nella storia in rapporto con Dio, la presenza della fede nelle persone, nelle diverse espressioni religiose, fra coloro che si dicono cristiani, nella Chiesa.
La preghiera non è moltiplicare parole, lo insegna anche il Vangelo, preoccuparsi dei riti religiosi, ma piuttosto sentire la nostra vita in relazione autentica e misteriosa, mai scontata con Dio, con il Dio umanissimo di Gesù di Nazaret. E’ silenzio, contemplazione, gratitudine, invocazione, affidamento, interrogativo e dibattito con Lui.
Quindi “pregare sempre, senza stancarsi mai” è vivere questa dimensione interiore, nutrirla, curarla: le espressioni poi possono variare a seconda della sensibilità e della storia delle persone. Si può vivere come esperienza personale, di gruppo, comunitaria.
Non può mai diventare individualistica; infatti anche se personale è abitata dalla presenza degli altri, dalle loro storie; oggi, più di sempre, dovrebbe assumere una dimensione planetaria; se è prigioniera dell’indifferenza, dell’egoismo, del particolarismo, dell’esclusione, del razzismo, non è preghiera ma solo proiezione del proprio ego personale o di gruppo che esclude gli altri, volontà di potere e dominio.
E’ una preghiera atea, cioè senza Dio.
La preghiera autentica riprende il significato profondo dell’esistenza mettendo in relazione dimensione personale e comunitaria, locale e globale.
Come si può pregare senza assumere le questioni decisive della povertà, delle armi e delle guerre, delle discriminazioni, dell’inimicizia e del razzismo, della cura della casa comune?
La questione della giustizia che soprattutto i poveri, le vittime di diverse situazioni attendono, pone a Dio
interrogativi drammatici. Perché il male è così diffuso? Perché tante vittime, con attenzione particolare agli innocenti?
Questo continuo dibattito con Dio diventa assunzione di responsabilità storica da parte nostra con l’invocazione a Lui di vicinanza, sostegno, incoraggiamento, accompagnamento: per essere coraggiosi, coerenti, perseveranti.
Per rispondere alla domanda: “il Figlio dell’uomo quando tornerà sulla terra troverà ancora fede?”, si dovrebbero scegliere come criterio le Beatitudini e il giudizio finale; allora si potrebbe scoprire le attuazioni concrete della fede al di là del tracciato dei perimetri religiosi ufficialmente riconosciuti, mentre all’interno degli stessi si potrebbero trovare l’ipocrisia e il vuoto.