Il brano del Vangelo di questa domenica (Vangelo di Matteo 1,18-24) ci parla della nascita di Gesù, figlio dell’umanità nell’utero di Maria e figlio di Dio per opera dello Spirito. Giuseppe, il giovane falegname, stava per sposarla: il loro infatti è un amore profondo. Ora che lei è incinta non per loro comune decisione si trova in difficoltà. È molto turbato, anzi sconvolto; dentro di lui il dibattito è lacerante; colui che nascerà di chi è figlio?
Erri De Luca con la sua profondità ha scritto qualcosa di straordinario, In nome della madre, proprio riguardo a questo evento. Dopo il racconto di Maria, di quello che era avvenuto, Giuseppe le dice: “Aiutami, cosa racconterò agli anziani?” Maria si sforza di ricordare “qualcosa” di più per consolarlo; le sta a cuore profondamente lui, ora così mortificato per la “rottura” del loro patto di unione. Dice Maria: “Provavo a ricordare, ma mi veniva solo un’allegria, una festa per quella nicchia in corpo che mi faceva madre senza aiuto di un uomo”.
Sulle mani di Giuseppe annerite dai calli cadevano lacrime bianche. E diceva: “Non basta, Maria, non basta a spiegare, aiutami, ricorda ancora, ricorda ancora; ora dobbiamo trovare una soluzione, dare una versione della tua gravidanza fuorilegge, ti amo, ti chiedo questo perché ti credo e voglio salvarti, Maria; ti trascineranno alla porta di Nazaret e ti lapideranno. E chiederanno a me di scagliarti contro il primo sasso. Lo capisci questo? Lo capisci? La conosci la nostra legge”. Giuseppe, fedele alle tradizioni dei padri e alla legge non può convivere con una donna sospettata di adulterio. D’altra parte, non avendo prove della sua infedeltà, come persona giusta ed equanime, non può esporla alla condanna con una denuncia pubblica. Da qui la decisione di separarsi privatamente senza processo pubblico. Ma anche questa decisione non è priva di interrogativi e difficoltà.
Maria dice: “Avrei voluto abbracciare il mio Giuseppe, per lui mi era salita in petto una tenerezza mai provata. Il rispetto, la soggezione che ci insegnano verso l’autorità maschile, abbassano i sentimenti affettuosi. Ma l’annuncio dell’angelo e la risposta del mio corpo quel giorno mi avevano affrancato. Non arrossivo, la fiducia di essere nel giusto mi dava la prontezza necessaria a un contegno nuovo. Anche il mio silenzio era cambiato. Con la tenerezza venne la gratitudine. Mi aveva creduto. Contro ogni evidenza si affidava me. Sulla sua bella faccia non s’era mosso neanche un muscolo del sospetto, un aggrumo di ciglia, uno sguardo di sbieco. E aveva visto la sua Maria per la prima volta che lo guardavo in faccia senza abbassare la fronte, come neanche le mogli osano fare. Mi aveva creduto, ero felice e calda di gratitudine per lui, fai quello che è giusto, Giuseppe. Io oggi sono tua più di prima, più della promessa”.
Il Vangelo dice di un sogno in cui un angelo appare a Giuseppe e che lui dopo il turbamento, la lacerazione interiore, le lacrime, gli interrogativi anche a Dio, prende con sé a casa sua Maria. Perché lo fa? Per amore; quell’amore che li ha uniti sempre di più, li ha sorretti nell’affrontare maldicenze ed esclusioni; ha nutrito la loro fede, preparato la nascita di Gesù per poi accompagnarlo momento per momento. Se il prossimo Natale non accoglie l’amore e il dolore, la concretezza e il mistero delle persone e delle situazioni della vita è insignificante.