Il Vangelo di questa domenica (Matteo 22, 15-22) ci presenta Gesù in mezzo ai rappresentanti dei farisei e degli erodiani che lo provocano sul versamento del tributo all’imperatore di Roma. è una questione decisiva sul piano politico e religioso. Dal tempo dell’occupazione e dominio romano in Palestina il pagamento del tributo che ogni giudeo adulto e attivo deve versare all’erario imperiale è un segno di sudditanza ad un potere straniero e interroga radicalmente la fede in Dio.
L’imperatore di Roma pretende una legittimazione divina al suo potere: essa è leggibile nella scritta sulle monete coniate sotto Tiberio imperatore dal 14 al 37 d.C. che riportano la sua immagine.
Si considera e chiede venerazione come Dio e pretende di sostituire con questa idolatria il Dio della liberazione, dell’alleanza, dei poveri, degli oppressi, degli orfani, delle vedove, degli stranieri, il Dio della misericordia. È proprio la negazione di questo Dio.
La risposta di Gesù: “Dunque, date all’imperatore quello che è dell’imperatore, ma date a Dio quel che è di Dio”, non è diplomatica, né evasiva, ma come sempre radicale.
Dare a Dio quello che è di Dio significa riconoscerlo, vivere con Lui rapporti di amicizia, confidenza e affidamento, seguire con fedeltà il suo insegnamento che chiede di non assolutizzare nessun potere di questo mondo, di riconoscerlo legittimo quando è al servizio del bene comune e rifiuta ogni forma di autoritarismo, peggio di violenza, oppressione e ricatto.
A Cesare quindi si dà quello che merita, a seconda dei suoi atteggiamenti e delle sue azioni: sostegno e collaborazione se è impegnato per il bene comune; la giustizia, la pace, la fratellanza, la cura della casa comune; invece dissenso, critica, opposizione, obiezione di coscienza se segue la logica degli interessi, dei privilegi, della forza, della dimenticanza di chi è povero, è messo ai margini, è debole, fragile, fa fatica.
Dato che si parla di denaro a Cesare si può fare riferimento agli investimenti e ai profitti crescenti per la fabbricazione e la vendita delle armi; anche a stati che violano sistematicamente i diritti umani come l’Egitto, dov’è stato torturato e ucciso Giulio Regeni. Si dovrebbe decidere una riconversione dell’industria bellica, di fatto assente dall’agenda politica.
Si pensi anche ai soldi depositati nelle banche e da queste utilizzati anche nel giro degli investimenti per le armi; per questo si parla di banche armate.
È doveroso pensare ai 120 miliardi di euro all’anno evasi dalle tasse. Con i soldi delle armi e dell’evasione si potrebbero operare investimenti indispensabili per la sanità pubblica, per la scuola e la ricerca, per i servizi sociali, per la cultura e l’arte.
Così papa Francesco nell’Enciclica:
“Fratelli tutti, sulla fraternità e l’amicizia sociale”: … abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi… ricordo che la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione e ancor di più in un progetto comune per l’umanità presente e futura. Pensare a quelli che verranno non serve a fini elettorali, ma è ciò che esige una giustizia autentica, perché come hanno insegnato i Vescovi del Portogallo, la terra “è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva”.
Celebriamo l’Eucarestia il martedì e giovedì alle ore 8.00 nella sala Petris; la domenica alle ore 8.00 e 10.30 sempre in Sala Petris.