NATALE 2007 - Vangelo, Luca2,1-14
25/12/2007
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Un Dio umano per umanizzare il mondo

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città.

Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nàzaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.

C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce.

Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.

Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".

L’esigenza più profonda di tutte le donne e di tutti gli uomini di buona volontà è quella di diventare più umani nell’assunzione di responsabilità per rendere più umano questo mondo. A questo fine che coinvolge in una prassi di vita ci si può incamminare diversamente, come ci ricordava il Dalai Lama nei recenti, partecipati incontri a Udine: percorrendo la via delle fedi religiose teiste; quella delle religioni non teiste come la dottrina e la pratica buddiste; quella di una laicità rispettosa degli altri percorsi così come esige rispetto per il proprio. Diverse ispirazioni, un unico fine e alcune parole decisive perché esprimono contenuti, impegno, prassi, cambiamento in atto: comprensione, amorevolezza, non violenza, premura e cura per tutti i nostri simili ed egualmente per tutti gli esseri viventi, per l’intero ambiente vitale. Si tratta di un percorso di liberazione personale, relazionale, comunitario dall’aggressività, dalla bramosia dell’accumulo e del possesso, dall’avversione e dall’inimicizia; di una ricerca dell’ armonia, dell’equilibrio interiori, non fine a se stessi, in una visione individualistica, ma esperienza che sollecita e vincola alla responsabilità universale data l’oggettiva interdipendenza nel mondo delle persone, delle comunità, dell’intera umanità. Il condividere in modo conviviale semplice e festoso alcuni momenti della vita è esigenza dell’umanità di sempre: l’ossessione della società dei consumi che celebra se stessa è situazione disumana perché rende evidente una sorta di disprezzo nei confronti degli impoveriti, dei colpiti, delle vittime, di chi fa fatica a vivere, di chi sperimenta il dolore, il lutto, la tristezza dell’anima. Solo una festa che nasce dalla compassione umana; solo una tavola attorno a cui vibra un’umanità non privilegiata ed esclusiva che fa festa senza doversi vergognare nei confronti di chi soffre è un segno di un’umanità che cerca di esprimere autenticità. La questione di Dio che la memoria religiosa del Natale dovrebbe riproporre si colloca proprio nel cuore dell’umanità; purtroppo il Natale della religione – non quello della fede – rischia costantemente di diventare solo un ingrediente di questo sistema sociale e religioso e quindi di non riproporre la grande questione di Dio; di essere utilizzato come momento religioso di occasione invece che provocare ad una riflessione profonda e ad un’assunzione di responsabilità. Nell’essere umano emerge costantemente il desiderio di inventare Dio per poterlo utilizzare; di proiettare in lui illusioni, compensazioni, legittimazioni anche a situazioni di potere, di dominio, di violenza, di discriminazione. Il Dio del Natale scompagina questa situazione che umilia, separa, emargina; è un Dio umanissimo che nasce come i bambini dei popoli poveri e oppressi in un luogo laico, una grotta per il ricovero degli animali, perché Maria e Giuseppe non hanno trovato altra accoglienza; non si fa presente nel mondo in un tempio, in un palazzo del potere; non ha eserciti a sua disposizione; gli fanno visita i pastori; queste riflessioni non sono una costruzione artificiosa, ma sono invece riscontrabili in tanti luoghi del mondo. Il silenzio, la contemplazione, la profonda riflessione di fronte al Bambino della grotta significa coinvolgersi nei drammi e nelle speranze dell’umanità; Dio è così umano per muoverci a compassione e rendere molto più umano questo mondo. Questa nascita provoca all’impegno per liberarci da ogni condizione che produce morte: l’impoverimento, la fame, la sete, le malattie; le armi, le violenze, le guerre; lo sfruttamento e l’oppressione; le discriminazioni, le esclusioni, le varie forme di razzismo; l’usurpazione e le violenze nei confronti di tutti gli esseri viventi; il materialismo che ottunde le coscienze, confonde i cuori, offusca gli ideali, divide le persone. Ammirando con la commozione e la tenerezza con cui contempliamo un bambino, di fronte a Lui venuto per un mondo umano ridiciamo la nostra disponibilità alla compassione, alla premura, alla cura; al dialogo; all’impegno per la giustizia, la non violenza attiva, la pace, la premura e la cura per ogni forma di vita; la liberazione dall’avidità, dal possesso, dall’aggressività, dalla competizione. Dio si fa uomo nell’umanità fragile di un bambino perché solo un Dio umano può aiutarci a diventare più umani. Troppe volte si pretende addirittura di disumanizzare Dio dentro alle nostra disumanità. E se il Natale religioso diventa un ingrediente dell’attuale sistema, nega l’autenticità provocante e consolante del natale autentico.

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