Domenica 17 febbraio 2008 - Vangelo, Matteo 17, 1-9
17/02/2008
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Trasfigurati per trasfigurare il mondo

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni fratello di Giacomo, e li condusse su un alto monte, in un luogo solitario. Là, di fronte a loro, Gesù cambiò aspetto: il suo volto si fece splendente come il sole e i suoi abiti diventarono bianchissimi, come di luce. Poi i discepoli videro anche Mosè e il profeta Elia: stavano accanto a Gesù e parlavano con lui. Allora Pietro disse a Gesù: " Signore, è bello per noi stare qui. Se vuoi preparerò tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia".Stava ancora parlando, quando apparve una nuvola luminosa che li avvolse con la sua ombra. Poi, dalla nuvola, venne una voce che diceva: "Questo è il Figlio mio, che io amo. io l'ho mandato, ascoltatelo!".A queste parole i discepoli furono talmente spaventati che si buttarono con la faccia a terra. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: " Alzatevi. Non abbiate paura!". Alzarono gli occhi e non videro più nessuno: c'era soltanto Gesù. Mentre scendevano dal monte Gesù diede quest'ordine ai discepoli: "Non dite a nessuno quello che avete visto, fino a quando il Figlio dell'uomo sarà risuscitato dai morti".

Nella vicenda umana di ciascuna e di ciascuno di noi ci sono stati e ci sono momenti particolari, speciali nei quali la realtà nostra, quella degli altri, quella dell'ambiente in cui viviamo e del mondo di cui abbiamo conoscenza, quella della Chiesa cui siamo abituati, viene percepita in modo più profondo, diverso da quello ritenuto "normale", che si presume di conoscere. Possono essere momenti belli, positivi, coinvolgenti: l'esperienza dell'amore, dell'amicizia, della disponibilità gratuita; l'incontro con una persona "speciale"; il vissuto di un'esperienza che illumina, provoca, coinvolge, sollecita; momenti di silenzio profondo e vibrante, di contemplazione dell'ambiente vitale: fra le montagne, come sulla riva del mare, di fronte al candore della neve, con lo stupore dei colori dell'autunno; rapiti, come in estasi davanti al tramonto e illuminati dall'alba che sopraggiunge. Sono sempre e soprattutto gli incontri con l'altro rivelativi dell'altro e di noi stessi, oltre la facile apparenza, la scontata immagine interpretativa; è la comunicazione dell'anima che rivela misteri e concretezze, complessità, tribolazioni, ricchezze... E i momenti rivelativi sono anche quelli dolorosi: le sconferme, il ritrovarsi in situazioni e scoperte che mai si sarebbero immaginate, soprattutto riguardo alle persone; le malattie fisiche, le tribolazioni e angosce dell'animo trasformano, lasciano segni riconoscibili; le malattie trasfigurano le persone, per cui la figura di prima si trasforma in modo incredibile. Di fatto la realtà di noi stessi, delle relazioni con l'altro, della storia, non è mai compiuta ma sempre in divenire, da scoprire, da approfondire. se non si partecipa a questo dinamismo si entra nella passività, nella rassegnazione, nel conformismo. In questo contesto di riflessione si può collocare il brano del Vangelo di questa domenica ( Matteo, 17, 1-9) che ci narra la trasfigurazione di Gesù sul monte. Il luogo (il monte), i segni (lo splendore del volto di Gesù come quello del sole, gli abiti bianchissimi come di luce); la presenza della memoria storica e religiosa, della profezia e delle dieci parole della vita (comandamenti) con Elia e Mosé; la nube, indicazione della presenza di Dio; la voce che dalla nube proviene a indicare che quell'Uomo è il Figlio amato, inviato da ascoltare; lo spavento di Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli presenti in quel luogo: tutto questo sta a indicare che su quel monte, in quella giornata è stata vissuta un'esperienza di Dio, di particolare profondità, intensità e coinvolgimento riguardante la presenza e la persona di Gesù, del quale i tre amici hanno potuto intuire e percepire la diversità che lo abita e di cui le parole e i gesti sono espressione, anche se poi spesso non compresi nel loro autentico significato, perchè collocati dentro gli schemi abituali o usati in modo utilitarista. Per un momento i tre discepoli hanno incontrato la profondità di Gesù di Nazaret, percepito chi lui è veramente. L'esperienza è così trasparente e rispondente alle esigenze umane più autentiche e profonde che Pietro esprime il desiderio di poterla protrarre a lungo: "Signore, è bello per noi stare qui. Se vuoi preparerò tre tende: una per te, una per Mosé e una per Elia". Il significato dell'esperienza così luminosa non può essere isolata, separata dalle situazioni della vita e della storia, quelle più positive e umane e quelle dure, contraddittorie, dolorose. In realtà i tre discepoli quando cessa l'intensità della luce vedono Gesù, solo. Si tratta del richiamo severo alla realtà e alla disponibilità a rapportare continuamente concretezza e ulteriorità, storia e trascendenza, umanità edita e ancora inedita, fra quello che già c'è ed è conosciuto e quello che non c'è ancora ed è da conoscere. Vivere questa salutare dialettica, questo dinamismo interiore nei rapporti umani e negli impegni della storia ci incoraggia e ci sostiene a non confondere la realtà con un realismo predogmatico, spesso anche cinico; e nello stesso tempo a non fuggire dalla realtà in astrazioni religiose o di altro genere; invece ad esigere momenti di silenzio di profondità, di contemplazione, di autenticità e di spiritualità, appunto di trasfigurazione, per nutrirci di quella luce, di quel coraggio, di quella forza necessari per rendere viva la realtà, per farla diventare più umana, a partire da noi stessi. Si può dire: le trasfigurazioni sono indispensabili per poter trasformare le troppe figure disumane in figure umane.

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