DOMENICA 5 APRILE 2009 Vangelo di Marco 15, 33-41
05/04/2009
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DOMENICA 5 APRILE 2009

 DELLE PALME E DELLA PASSIONE DELL’UOMO E PASSIONE DI DIO

 Vangelo Marco 15, 33-41


 Quando fu mezzogiorno si fece buio su tutta la regione, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò molto forte: “Eloì, Eloì, lema sabactàni?”, che significa:”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Alcuni dei presenti udirono e dissero: “Sentite, chiama il profeta Elia”. Un tale corse a prendere una spugna, la bagnò nell’aceto, la fissò in cima ad una canna e cercava di far bere Gesù. Diceva: “Aspettate. Vediamo se viene il profeta Elia a toglierlo dalla croce!2. Ma allora Gesù diede un forte grido e morì. Allora il grande velo appeso nel tempio si squarciò in due, da cima a fondo. L’ufficiale romano che stava di fronte alla croce, vedendo come Gesù era morto, disse: “Quest’uomo era davvero Figlio di Dio!”. Alcune donne erano là e guardavano da lontano: c’erano Maria Maddalena madre di Giacomo (il più giovane) e di Joses, e anche Salome. Esse avevano seguito e aiutato Gesù fin da quando era in Galilea. E c’erano anche molte altre donne che erano venute con lui a Gerusalemme.


Una domenica speciale, quella delle Palme o degli ulivi e insieme della passione di Gesù di Nazaret. Viviamo la memoria per essere memoria viva dell’entrata di Gesù nella città di Gerusalemme fra una folla esultante. Rivivere questo evento tenendo in mano un ramoscello di ulivo per poi portarlo per le strade, nelle nostre case, in altri luoghi della nostra vita e anche, ad esempio, in ospedale o in carcere, significa rinnovare la nostra disponibilità ed il nostro impegno ad essere donne e uomini costruttori di pace: lavorando per il nostro equilibrio interiore; vivendo rapporti significativi con gli altri; impegnandoci per una cultura e significative esperienze di accoglienza di ogni altro, in particolare di chi fa più fatica, di chi è ai margini, di chi è straniero; scegliendo la non violenza attiva e rifiutando ogni tipo di arma, ogni guerra, ponendo attenzione e premura a tutti gli esseri viventi, all’intero ecosistema. Il Vangelo descrive l’entrata di Gesù a Gerusalemme sul dorso di un puledro d’asina, non per una curiosità di cronaca, ma perché si tratta di un segno alternativo a chi entrava nella città con i segni della forza: con i cavalli e con le armi, per assoggettare e dominare. Gesù è forte solo della sua umanità così totalmente umano da esprimere il suo essere divino: sta in mezzo alla gente per ascoltare, per condividere, per guarire, per indicare e praticare il superamento delle barriere e dei muri di divisione fra le persone, per insegnare a convivere da amici e da fratelli, nella fiducia e nella condivisione. Si medita poi la passione del Signore, del Giusto catturato, processato, condannato a morte, torturato, ucciso con il supplizio della croce. Nella passione di Cristo riscontriamo i tratti della passione di milioni di esseri umani nelle diverse situazioni della storia. Gesù di Nazaret viene ucciso perché insopportabile da parte del sistema nell’intreccio fra i poteri culturale, politico, giuridico, religioso, militare. Si decreta la sua condanna a morte perché è un guaritore, perché è disubbidiente alle leggi consolidate nel loro potere di oppressione e di umiliazione, perché è un bestemmiatore: rende infatti presente il Dio della vita e della storia, il Dio che sta in mezzo alla gente, che vive comprensione e vicinanza, alternativo al Dio della religione del tempio gestito dai sacerdoti e dagli uomini del potere. Questa è la sua bestemmia! Nella passione incontriamo la prepotenza e la falsità; la distanza e anche il tradimento degli amici; il cambiamento della folla, la prepotenza, l’arroganza, la violenza, la crudeltà, il disprezzo e lo scherno nei confronti del condannato. E siamo coinvolti dal suo dolore, da un’angoscia che gli squassa l’anima e il corpo; dal suo interrogativo lacerante se gli sia richiesto proprio di entrare in una sofferenza così terribile; dal suo affidamento con timore e tremore. Insieme al dolore fisico è il senso di fallimento, di sconfitta, di vuoto che lo colpisce nel profondo dell’anima: sembra infatti che vincano ancora una volta le forze del male. Dio stesso è chiamato in causa, il grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, non è retorico, è drammatico; sul Golgota Dio pare assente, come ad Auschwitz come nella regione dei Grandi laghi, come in tutte le tragedie collettive e i drammi personali: Dio abbandona il Figlio Gesù? Dio abbandona l’umanità colpita e sofferente in modi e intensità così tragiche? Dio è colui che in Gesù viene giustiziato e muore in croce;; è vittima fra le vittime; impotente nel mondo proprio per questo per sempre e pienamente solidale con noi. La sua morte in croce svela l’iniquità del potere oppressivo e omicida e rivela l’amore che coinvolge fino a donare la vita per la liberazione, la giustizia, la pace; per un’umanità veramente umana. È il paradosso della vita e della storia: donare vita e speranza attraverso la morte. Fondamentale è contribuire alla vita, non alla morte.

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