DOMENICA 03 MAGGIO 2009 Vangelo di Giovanni 10, 11-18
03/05/2009
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DOMENICA 3 MAGGIO 2009

 ESSERE “PASTORI BUONI”: COINVOLGIMENTO, CONOSCENZA, DISPONIBILITÀ COMPLETA

 (Vangelo di Giovanni 10, 11-18)


 “Io sono il buon pastore. Il buon pastore è pronto a dare la vita per le sue pecore. Un guardiano che è pagato, quando vede venire il lupo lascia le pecore e scappa, perché le pecore non sono sue. Così il lupo le rapisce e le disperde. Questo accade perché il guardiano non è pastore: lavora solo per denaro e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore: io conosco le mie pecore ed esse conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre. E per queste pecore io do la vita. Ho anche altre pecore, che non sono in questo recinto. Anche di quelle devo diventare pastore. Udranno la mia voce, e diventeranno un unico gregge con un solo pastore. Per questo il Padre mi ama, perché io offro la mia vita, e poi la riprendo. Nessuno me la toglie; sono io che la offro di mia volontà. Io ho il potere di offrirla e di riaverla: questo è il comando che il Padre mi ha dato”.


 ***

Nella nostra esperienza umana, in quella familiare e ugualmente, pure nelle diversità, in quella sociale, culturale, scolastica, professionale, politica e ancora, su un altro piano, diverso, ma non separato, in quella religiosa, noi tutti abbiamo avvertito e avvertiamo l’importanza di donne e uomini, di intere comunità, maestre e maestri di vita, guide, punti di riferimento importanti per l’insegnamento comunicato con le parole unite alla sensibilità, allo stile di vita, alla disponibilità e soprattutto alla coerenza. Tutti noi appunto ne abbiamo avvertito l’importanza, la luce, la forza e per contrasto la mancanza soprattutto nell’incoerenza di chi avrebbe dovuto e dovrebbe testimoniare insegnamenti, prospettive, valori profondi e invece li contraddice e li tradisce nelle relazioni umane, nella società, nella politica e nella Chiesa. Ciascuna e ciascuno di noi si riferisce subito, per associazione interiore, a qualche persona: alcune di esse sono conosciute nell’ambito più ristretto nel quale hanno lasciato o stanno lasciando il loro segno profondo; altre sono conosciute in un “territorio” umano più vasto o molto più vasto fino ad estendersi a tutto il Pianeta come Gesù, Maometto, Budda; come Gandhi, come Follerau, come Schweitzer, come Martin Luther King, come Mandela. Il Vangelo che si medita in questa domenica nelle comunità cristiane (Giovanni 10, 11-18) riporta la parabola del buon pastore alla quale Gesù affida la descrizione delle qualità per essere, per diventare continuamente guide riconoscibili, significative, credibili. Il buon pastore è pronto a dare la vita per le sue pecore a differenza di chi è mercenario ed è pagato per il suo lavoro che esegue senza stabilire relazioni, coinvolgimento personale, senza prendere a cuore e prendersi cura quindi pronto a scappare quando un pericolo minaccia le pecore: infatti lavora solo per denaro e non gli importa delle pecore. Il pastore buono conosce le sue pecore ed esse lo conoscono: si tratta della conoscenza della frequentazione, della vicinanza, della partecipazione e condivisione delle situazioni, di quelle positive e di quelle tribolate; la conoscenza non è quindi solo intesa razionalmente nel senso di sapere alcune informazioni, ma come coinvolgimento esistenziale, come disponibilità: è la conoscenza derivata dall’amore. Questa conoscenza è rapportata a quella di Gesù con il padre: come il Padre mi conosce e io conosco il Padre. La relazione con Dio coinvolge nella relazione con il prossimo, perché non si può dire di amare Dio, di credere in Lui che non si vede se si esprime indifferenza e ostilità nei confronti dei fratelli che incontriamo. E ancora questa affermazione mette in relazione mistero di Dio e il mistero dell’uomo, storia e trascendenza, fede e impegno quotidiano, spiritualità e materialità, motivazioni profonde e decisioni contingenti. L’essere così disponibili fino ad offrire la propria vita deriva dalla profondità dello spirito e da convinzioni e motivazioni interiori, non da condizionamenti e da forzature: nessuno mi toglie la vita; sono io che la offro di mia volontà.Gesù di Nazaret ha attuato nella sua vita le qualità del pastore buono, del maestro, della guida: Il riferimento a Lui può illuminare, orientare, verificare, riproporre e sostenere il compito di chi è genitore, insegnante, prete, vescovo, papa, impegnato nella politica e in altre situazioni; e in modo più ampio di noi tutti; senza presenza, partecipazione alle condizioni di vita, coinvolgimento e conoscenza diretta delle persone, senza dedizione gratuita l’essere guida, maestro, riferimento perde di qualità e significato. Un esempio illuminante. Il 16 novembre 1965 pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II una quarantina di vescovi, tra cui dom Helder Camara firmarono un documento, chiedendo fedeltà allo Spirito di Gesù per mantenere con coerenza queste convinzioni come pastori. Ecco alcune affermazioni: “Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende. Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti) e nelle insegne di materia preziosa. Non possederemo a nostro nome beni immobili né mobili, né conto in banca, ecc; e se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome delle diocesi o di opere sociali o caritative. Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per iscritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore) preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di padre. Eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità o anche di qualsiasi preferenza.”

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