DOMENICA 04 OTTOBRE 2009 Vangelo di Matteo 11, 23-30
04/10/2009
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Francesco d’Assisi: l’uomo nuovo

(Matteo 11, 25-30)

Allora Gesù Pregò così: “Ti ringrazio Padre, Signore di tutto l’universo. Ti ringrazio perché hai voluto far conoscere a gente povera e semplice quelle cose che hai lasciato nascoste ai sapienti e agli intelligenti. Sì, Padre, così tu hai voluto.
Il Padre ha messo tutto nelle mie mani. Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e quelli ai quali il Figlio lo fa conoscere”.
“Venite con me, tutti voi che siete stanchi e oppressi: io vi farò riposare. Accogliete le mie parole e lasciatevi istruire da me. Io non tratto nessuno con violenza e sono buono con tutti. Voi troverete la pace, perché quello che vi domando è per il vostro bene, quel che vi do da portare è un peso leggero”

Nella storia dell’umanità si collocano le storie di persone di significato speciale, esemplari per la luce, la prospettiva, la concretezza del loro insegnamento così universali da trascendere il tempo e lo spazio, da abitare l’umanità in continuità, anzi di precederci nel futuro, anche se vissute secoli fa.
Una di queste persone straordinarie è indubbiamente Francesco di Assisi che per le qualità spirituali e umane che continua a comunicare non appartiene alla Chiesa, alla storia del cristianesimo, ma appunto a tutta l’umanità.
Questa prima domenica di ottobre coincide con la sua memoria.
Nell’impossibilità di presentare anche solo in modo sintetico e abbozzato le sue ammirevoli qualità, qualche frammento di riflessione raccolto in tre dimensioni fondamentali per la storia dell’umanità di sempre, dato che Francesco rappresenta l’uomo nuovo, così come dovrebbe essere.
Nel mondo dell’ingiustizia strutturale, dell’impoverimento di due-terzi dell’umanità, della crescente povertà nelle nostre società, e per altro del materialismo e del consumismo sfrenati, Francesco ci comunica la povertà come distacco dall’ossessione dell’avere, del consumare e dell’esibire; la sobrietà come modello e misura del vivere.
Dal prestigio del casato, dal culto del denaro, dallo sfarzo nel vestire, dalla spensieratezza di una giovinezza dorata si converte alla spogliazione, all’abito del medicante perché coglie i meccanismi dello sfruttamento che garantisce l’arricchimento e perché pone al centro l’uomo non il possesso e l’accumulo, l’uomo che sta ai margini, il lebbroso. Così scrive padre Ernesto Balducci: “il servizio reso ai lebbrosi non fu per Francesco un eroico servizio di carità; fu la pratica rivelativa del vero fondamento del rapporto fra l’uomo e Dio; il metro aureo per misurare la disumanità del mondo così com’è e, dunque, per contrasto, le fondamenta del mondo come dovrebbe essere”.
Francesco si considera ultimo condividendo realmente le condizioni degli ultimi, scoprendovi i segni del Vangelo (Matteo 11, 25-30) e assumendo i poveri non come destinatari di carità, ma come fondamenta della Chiesa. Pare che Francesco viva una follia, ma è la follia del Vangelo che provoca, inquieta, consola perché fa percepire l’essenzialità delle cose, il senso più profondo e ultimo del vivere.
A Guido, vescovo di Assisi così dice:” Se avessimo beni dovremmo disporre anche di armi per difenderci; E’ dalla ricchezza che provengono questioni e liti e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio, quanto l’amore del prossimo. Per questo non volgiamo possedere alcun bene materiale in questo mondo”.
Il secondo straordinario insegnamento di Francesco riguarda la non violenza e la costruzione della pace, liberandosi della configurazione del nemico e dall’avversione a lui.
Nel tempo dell’inimicizia ai mussulmani, delle crociate, della convinzione che uccidere l’infedele è un dovere, Francesco si presenta a mani nude, fa cadere l’estraneità e l’inimicizia, mette in moto i processi dell’attenzione reciproca, dell’ascolto, della condivisione della fede religiosa anche se vissuta ed espressa con la propria differenza.
Francesco vivendo pienamente il Vangelo contribuisce in modo del tutto significativo all’abolizione della categoria del nemico su cui si basa l’intera cristianità medioevale. E’ lui in quel momento la guida della Chiesa, non il papa che marcia in festa alla crociata.
La terza grande prospettiva che Francesco d’Assisi continua a proporci è la relazione di attenzione, premura, contemplazione, dialogo con tutti gli esseri viventi, con l’intero creato nella liberazione da una logica di predominio e di usurpazione che considera l’ambiente un oggetto da sfruttare. Il dialogo che San Francesco vive anche concretamente con i fiori, gli uccelli, con gli alberi, le pecore e il lupo sono dimensioni estemporane, ma costituiscono l’espressione di un nuovo paradigma indispensabile per la salvaguardia e l’armonia di tutti gli esseri.
Il Cantico delle creature è rivelazione dell’uomo nuovo: può essere letto e meditato in ogni luogo del Pianeta con medesimo, profondo significato.
E’ infatti espressione dell’uomo liberato dalla paura di se stesso, degli altri e di Dio, perfino la morte è diventata sorella, Non c’è più inimicizia con nessuno; la reciprocità e il dialogo sono diventati universali.

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