DOMENICA 28 MARZO 2010 Vangelo di Luca 19, 35-40 23,44-49
28/03/2010
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PASSIONE DI DIO PASSIONE DELL’UOMO
Vangelo Luca 19,35-40; 23,44-49

Allora portarono il puledro da Gesù. Poi lo coprirono con i loro mantelli e vi fecero salire Gesù. Man mano che Gesù avanzava, la gente stendeva i mantelli sulla strada davanti a lui. Gesù scendeva dal Monte degli Ulivi ed era ormai vicino alla città. Tutti quelli che erano suoi discepoli, pieni di gioia e a gran voce si misero a lodare Dio per tutti i miracoli che avevano visto. Gridavano: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore: egli è il re! Pace in cielo; Gloria a Dio”. Alcuni farisei che si trovavano tra la folla, dissero a Gesù: “Maestro, fà tacere i tuoi discepoli!”. Ma Gesù rispose: Vi assicuro che se tacciono loro si metteranno a gridare le pietre”.
Verso mezzogiorno si fece buio per tutta la regione fino alle tre del pomeriggio. Il sole si oscurò, e il grande velo appeso nel tempio si squarciò a metà. Allora Gesù gridò a gran voce: “Padre, a te affido la mia vita”. Dopo queste parole morì. L’ufficiale romano, vedendo queste cose, rese gloria a Dio dicendo: “Egli era veramente un uomo giusto!”. Anche quelli che erano venuti per vedere lo spettacolo, davanti a questi fatti se ne tornavano a casa battendosi il petto. Invece gli amici di Gesù e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea se ne stavano ad una certa distanza e osservavano tutto quello che accadeva.

Le celebrazioni della “domenica degli ulivi” e della settimana seguente, in particolare del Venerdì Santo, hanno sempre coinvolto tante persone; questa partecipazione continua, indubbiamente può essere segno di dimensioni e vissuti profondi e anche di aspetti tradizionali che coprono quegli interrogativi puntuali a cui è doveroso rispondere sull’attualità del messaggio per la nostra vita di donne e uomini di questa società, di questa storia. Gesù di Nazaret entra a Gerusalemme su un puledro d’asina, non sui cavalli, espressione della forza e del dominio dei potenti, quindi come Uomo di pace, al servizio degli abitanti di quella città, che in quei giorni brulica per i tanti pellegrini arrivati per la festa della pasqua. Tanta gente lo acclama; ci sono i suoi amici, i suoi simpatizzanti, la gente che ha sentito parlare di lui, delle sue parole e dei suoi gesti sorprendenti. Vivere nella nostra comunità questa memoria con i ramoscelli d’ulivo in mano e poi portarli nelle strade delle nostre città e dei nostri paesi è rinnovare la nostra scelta di non violenza attiva e di costruzione della pace, di accoglienza dell’altro e della sua diversità; questo, dentro alle situazioni di violenza di vario genere; di costruzione e commercio delle armi; delle guerre in Afghanistan, Iraq ed in tanti luoghi del Pianeta; di razzismo e delle scelte politiche del nostro Paese e della nostra Regione. Nel caso contrario, senza l’assunzione di questa responsabilità storica, i ramoscelli d’ulivo sono tradizione fine a se stessa.
A Gerusalemme, come oggi in tanti luoghi del Pianeta, il potere conferma la logica terribile di oppressione e di annientamento di persone, comunità, organizzazioni che mettono in questione l’organizzazione del potere che impoverisce, sfrutta, discrimina, uccide; porre sempre al centro e al primo posto la vita delle persone, delle comunità, di tutti gli esseri viventi porta ad essere avvertiti come disomogenei, pericolosi, indesiderati. Gesù di Nazaret viene condannato e ucciso dall’accordo del potere giudaico con quello di Roma i cui soldati eseguono la condanna. Per l’autorità ebraica, con a capo il sommo sacerdote Caifa, è inaccettabile che quell’uomo di Nazaret parli continuamente di un Dio diverso da quello del tempio che loro gestiscono, con un potere che cerca continuamente l’accordo con il procuratore Pilato, presenza dell’Impero occupante. Il Dio Padre, accogliente e misericordioso con tutti; il Dio dei poveri, degli oppressi, dei discriminati, dei bambini, delle donne, degli ammalati. Il Dio che si può incontrare in “spirito e verità” nelle vicende della storia, nei volti delle persone, nei segni dei tempi. Un Dio che non ha più bisogno di un tempio, della sacralità della separazione.
Questo Gesù di Nazaret di fatto afferma e pratica la non violenza, perfino l’amore ai nemici, l’uguaglianza e la condivisione dei beni; si è circondato di un gruppo di discepoli, tanta gente lo ammira. Non è un rivoluzionario in armi, ma è un pericolo perché può alterare l’ordine della città e del territorio a cui provvede il patto tra religione, politica ebraica e impero romano di occupazione.  La dimensione della fede e la riflessione teologica ci coinvolgono in un percorso di concretezza e di mistero, di significati ultimi, di donazione della sua vita come salvezza per noi. Di fatto, storicamente Gesù viene giustiziato da soldati agli ordini di Pilato e all’origine di questa esecuzione si trova il sommo sacerdote Caifa, supportato dai membri dell’aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme. Viene arrestato, processato in modo farsesco, torturato e ucciso sulla croce. I discepoli più vicini fuggono; i simpatizzanti hanno paura e tacciono; tanta gente si lascia influenzare e appoggia gridando la sua condanna a morte.
Gesù di Nazaret rimane solo. Vive la tristezza, l’angoscia, l’agonia del Getsemani: è spaventato dalla violenza incombente; è soprattutto lacerato dal senso profondo di fallimento del suo dire e operare; chi difenderà ora i poveri; a chi si rivolgeranno gli emarginati e sfiduciati? Si affida al Padre che non gli risponde e si avvia per una strada dura e oscura. E’ crocifisso, appena fuori dalla città insieme ad altri due, perché l’esecuzione diventi un monito per tutti. Lo storico Giuseppe Flavio, afferma che “la croce è la morte più miserabile di tutte” e Cicerone “che è il supplizio più crudele e terribile”. Gesù muore nella solitudine totale. Dio non risponde. Il grido angosciato di dove sia, non viene sminuito dalle altre sue parole di affidamento e di compimento della sua vicenda. Si abbandona in Dio in modo drammatico, perché Dio non si fa presente. Dov’è Dio? E’ il Dio crocifisso, che muore sulla croce; vittima fra le vittime; profeta e martire fra i profeti e i martiri. E la sua onnipotenza? E’ proprio il suo amore e la sua incarnazione definitiva nella storia, Dio con noi definitivamente, condividendo in fondo il dolore dell’umanità. Dio impotente nel mondo rivela la forza straordinaria del suo amore.

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