DOMENICA 9 MAGGIO 2010 Vangelo di Giovanni 14, 23-29
09/05/2010
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COERENZA FRA PAROLE E AZIONI
Vangelo Giovanni 14, 23 -29

Gesù rispose: “se uno mi ama, metterà in pratica la mia parola, e il Padre mio lo amerà. Io verrò da lui con il Padre mio e abiteremo con lui. Chi non mi ama, non mette in pratica quello che dico. E la parola che voi udite non viene da me ma dal Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono con voi. Ma il Padre vi manderà nel mio nome un avvocato: lo Spirito Santo. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che  ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. La pace che io vi do, non è come quella del mondo: non vi preoccupate, non abbiate paura. Avete sentito quello che vi ho detto prima: Me ne vado, ma poi ritornerò da voi. Se mi amate, dovreste rallegrarvi che io vada dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Tutto questo ve l’ho detto prima, perché quando accadrà abbiate fede in me.

Le parole dette e scritte sono certamente importanti; esse comunicano e nascondono, non esprimono mai completamente la profondità umana. Ci sono parole che attingono alla profondità dell’essere e quelle che si nutrono alla superficialità dell’esistere; ci sono quelle della convenienza, delle frasi fatte, dei luoghi comuni e quelle che esprimono la ricerca della verità, del senso degli avvenimenti positivi e dolorosi, oltre  la cronaca,  nel loro significato profondo; ci sono parole che manifestano volontà di supremazia, di dominio, di imposizione e altre che comunicano l’esigenza della relazione, del dialogo, della condivisione. Parole che esprimono durezza ed altre tenerezza; ancora, parole che costruiscono menzogna, ipocrisia e inganno e altre sincerità e autenticità. Ci sono le parole delle scienze e dei saperi e quelle della sapienza del vivere.
Riguardo alla fede ci sono parole scontate, ripetitive, ed altre che dicono l’arduo tentativo di comunicare il rapporto fra spiritualità, profondità dell’animo e materialità, svolgimento del fare; fra storia e trascendenza; contingenza e ulteriorità; vita, morte, vita oltre la morte.
Anche quando le parole risuonano positive, belle, condivise nei rapporti umani, nella cultura, nella vita sociale, nell’impegno politico, nell’esperienza della fede resta continuamente aperta la questione della forza di quelle parole, nell’attesa di una coerenza della vita di chi: persona, istituzione, comunità, le pronuncia; la forza culturale, etica, spirituale delle parole, cioè, non sta solo nelle parole stesse ma nella credibilità di chi, pronunciandole, già sta attuandole e si impegna a continuare ad attuarle con ulteriore coerenza. A esempio: come comunità Cristiane, come Chiesa, non possiamo solo dichiarare l’accoglienza, ma annunciarla vivendola; non possiamo parlare di una scelta preferenziale per i poveri, se non vivendo concrete esperienze di condivisione delle strutture delle nostre comunità; se non dimostrando sobrietà nei vestiti, nel cibo, nei mezzi; non quindi la Chiesa che aiuta i poveri, ma che è povera come stile di vita, spogliandosi quindi di tanti vestiti, ornamenti, titoli onorifici che sono del tutto impropri e totalmente lontani dal messaggio di semplicità, sobrietà, essenzialità del Vangelo. Queste riflessioni ed altre si possono scoprire nel brano del Vangelo di questa domenica (Giovanni 14, 23 -29) nel quale si leggono le parole di Gesù: “ Se uno mi ama, metterà in pratica le mie parole”; appunto la fede che coinvolge nel profondo dell’anima e nelle decisioni della vita, nella ricerca di evitare il più possibile la dissociazione dell’incoerenza fra il dire e il fare, fra l’annunciare e l’operare.
 Rispetto a questa prospettiva sentiamo l’esigenza di essere sollecitati, nutriti, sostenuti, perché il rischio del conformismo, della superficialità, del grigiore è sempre presente; la coerenza pretende sensibilità, reazione, passione, sdegno, denuncia, progettualità, decisioni e attuazioni. E’ fondamentale riconoscere le fonti ispirative, i tempi e i luoghi dell’illuminazione, del chiarimento, della salutare provocazione: “Il Padre vi manderà nel mio nome un difensore: lo Spirito Santo. Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto”.  E per camminare in quale direzione; per contribuire a quale progetto? . “ Vi lascio la pace, vi do la mia pace. La pace che io vi do non è quella del mondo”. Non è quella che chiama la  guerra con altri nomi: Intervento che porta libertà, giustizia e democrazia; azione umanitaria. Non è quella che definisce i crimini dell’uccisione di civili, a cominciare dai bambini, effetti collaterali, parte dello scenario della guerra. La pace del Vangelo è la conversione delle coscienze e dei cuori, della cultura, delle istituzioni, della politica, delle religioni  alla giustizia e alla non violenza attiva, al rifiuto deciso dell’inimicizia,  delle armi, della guerra. Siamo chiamati a dare tutto il possibile per questo progetto decisivo per l’umanità, superando titubanze  e paure: “Non vi preoccupate, non abbiate paura”.

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