I diciassette giudici della Grande
Camera della corte di Strasbrugo dovevano giudicare, nello specifico,
il caso “Hirsi Jamaa e altri contro Italia”, ovvero il ricorso contro
il governo italiano presentato tre anni fa da undici somali e tredici
eritrei.
La Corte ha riconosciuto l’Italia colpevole di aver violato l’articolo
4 della
Convenzione europea dei diritti dell’Uomo che
vieta le espulsioni collettive e l’articolo 3 sui trattamenti
degradanti e la tortura, oltre al diritto effettivo per le vittime di
fare ricorso presso i tribunali italiani, sancito dall’articolo 13
della stessa Convenzione.
La Corte ha quindi, per la prima volta, equiparato il respingimento
collettivo alla frontiera e in alto mare alle espulsioni collettive nei
confronti di chi è già nel territorio.
L’Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro,
più le spese, a ventidue delle ventiquattro vittime, in quanto due
ricorsi non sono stati giudicati ammissibili.
Il 6 maggio 2009 i ventiquattro migranti erano a bordo di un barcone
carico di duecento disperati, tra cui bambini e donne in stato di
gravidanza, salpati dalla Libia alla volta dell’Italia, intercettato
dalla Guardia costiera 35 miglia al largo di Lampedusa. I rifugiati
furono trasbordati su tre unità navali militari italiane e, senza
procedere a identificazione, condotti al porto di Tripoli e consegnati
alle autorità libiche.
“Dopo ventidue ore di navigazione in condizioni drammatiche, i duecento
migranti trasferiti a bordo delle imbarcazione italiane pensavano che
sarebbero stati portati in Italia”, spiega a E online uno dei loro
difensori, l’avvocato Anton Giulio Lana. “I nostri militari non dissero
loro nulla sulla destinazione, li ingannarono. Solo riconoscendo il
porto di Tripoli si resero contro di essere stati riportati indietro”.
“Erano disperati – racconta l’avvocato – e imploravano i nostri
militari di non lasciarli lì, spogliandosi e inginocchiandosi ai loro
piedi. Vennero rinchiusi nei campi di concentramento libici, dove
tramite gli operatori umanitari del
Consiglio italiano per i rifugiati
ventiquattro di loro decisero di ricorrere alla corte di Strasburgo.
Durante la reclusione subirono maltrattamenti e torture. Poi venne la
rivoluzione libica e fuggirono, ma dovettero scappare dai ribelli che
li credevano mercenari di Gheddafi”.
“La maggior parte di loro si rifugiò in Tunisia – prosegue Lana – altri
ripresero la via del mare verso l’Europa. Di molti abbiamo perso ogni
traccia, di alcuni sappiamo che sono morti durante la traversata. In
pochi ce l’hanno fatta e ora stanno a Malta, in Svizzera, uno anche in
Italia con tanto di riconoscimento dello status di rifugiato politico:
tristemente paradossale, no?”.
Il governo italiano aveva impostato la sua difesa di fronte alla Corte
sostenendo che la Libia era da considerarsi un “luogo sicuro” e che i
ricorrenti non avrebbero in alcun modo manifestato agli ufficiali di
bordo la loro volontà di richiedere l’asilo o altra forma di protezione
internazionale. I giudici di Strasburgo hanno rigettato integralmente
le difese del Governo Italiano, ritenendo che ai migranti intercettati
in acque internazionali non sia stata offerta alcuna possibilità
effettiva di ottenere una valutazione individuale delle loro situazioni
al fine di beneficiare della protezione accordata ai rifugiati dal
diritto internazionale e comunitario.
“Una sentenza di condanna all’Italia – commentava ieri a E online
l’avvocato Paolo Oddi, avvocato immigrazionista dell’
Associazione
giuridica studi immigrazione (Asgi) – sancirebbe un precedente
vincolante per l’Italia e per tutti i Paesi europei, mettendo la parola
‘fine’ a ogni discussione sulla legittimità di accordi bilaterali che
prevedano pratiche che violano i diritti umani fondamentali”.
“Questa sentenza – ha dichiarato oggi Christopher Hein, direttore del
Consiglio italiano per i rifugiati – prova che nelle operazioni di
respingimento sono stati sistematicamente violati i diritti dei
rifugiati. L’Italia ha infatti negato la possibilità di chiedere
protezione e ha così respinto in Libia più di mille persone che avevano
il diritto di essere accolte in Italia. Vogliamo che questo messaggio
arrivi in maniera inequivocabile al Governo Monti: nel ricontrattare
gli accordi di cooperazione con il governo di transizione libico, i
diritti dei rifugiati non possono essere negoziati. Su questo tema ci
aspettiamo dal nuovo esecutivo posizioni chiare e più forti di quelle
che abbiamo rilevato in queste settimane”.
L'articolo di
Repubblica.it