La lettera di Natale
2013 in pdf (622 kb)
Lettera di Natale 2013
Sorpresa e
gratitudine per Francesco, vescovo di Roma e papa
Care amiche e cari amici,
il saluto più cordiale. Abbiamo cercato in questi anni di esprimere e
comunicare esperienze e riflessioni su situazioni difficili e tribolate
come pure segni positivi, progetti e speranze. Abbiamo anche osato
condividere vissuti e riflessioni su Dio, su Gesù di Nazaret, sulla
Chiesa di cui ci sentiamo parte viva. Iniziamo queste riflessioni in
sintonia con l’esortazione apostolica
Evangelii
Gaudium di Francesco, vescovo di Roma e papa, pubblicata il 24
novembre 2013: con la gioia, la carica di vita che il Vangelo porta,
liberandoci dal male, dalla tristezza, dalla paura e dall’isolamento.
“Tutta la creazione soffre e geme
fino ad oggi nelle doglie del parto… Anche noi che possediamo le
primizie dello Spirito gemiamo interiormente, aspettando l’adozione a
Figli” (Rm 8, 22-23).
La metafora delle doglie del parto, come chiave interpretativa per
capire il senso della nostra storia contemporanea e della crisi epocale
in atto, ci infonde un senso di fiducia e di fondata speranza di fronte
alle fatiche, agli smarrimenti, alla violenza e alle tante sofferenze
del tempo presente. Le doglie preannunciano una nascita. La nascita che
ci prepariamo a celebrare con il Natale di Gesù ha senso solo se ci
vede impegnati a far nascere anche un progetto nuovo di umanità, capace
di rispettare la dignità e i diritti di ogni persona, di fare in modo
che a nessuno manchi il lavoro, che tutti abbiano il pane di ogni
giorno, che la Terra sia amata come madre e non più devastata e gli
uomini e le donne vivano finalmente in pace.
Nella lettera di quest’anno sentiamo fortemente l’esigenza di
condividere con voi la sorpresa, la provocazione, la gratitudine,
l’incoraggiamento che emergono dal profondo della nostra umanità per la
presenza, le parole e i gesti di Francesco, vescovo di Roma e fratello;
e ancora il nostro sostegno alla sua persona, al suo servizio, al suo
progetto di riforma della Chiesa. Avvertiamo che all’ammirazione e al
consenso di una parte considerevole del popolo di Dio si affiancano le
perplessità sia di membri e movimenti della Chiesa legati a una
tradizione chiusa in se stessa; sia di quanti vogliono continuare a
utilizzare la religione come mezzo da affiancare ai vari poteri.
La scelta del
nome Francesco
E’ la prima volta per un papa; una scelta programmatica e impegnativa.
Francesco d’Assisi si è spogliato di ogni forma di potere e di
ricchezze, ha dimorato fuori dalle mura; ha incontrato e abbracciato i
lebbrosi; si è liberato da ogni clericalizzazione: difatti era un
laico, non un sacerdote. Ha vissuto l’umiltà e la povertà; la
nonviolenza e la pace; lo sguardo contemplativo, la relazione e il
dialogo con tutti gli esseri viventi.
La prima spogliazione il cardinale Bergoglio l’ha fatta presentandosi,
appena eletto, come vescovo di Roma e - in quanto tale - come colui che
presiede nella carità e nel servizio (non con il potere papale) alla
vita delle diverse comunità cristiane. Ha salutato con l’amicizia di
un: “Buona sera” e, nel silenzio impressionante della piazza da lui
richiesto, ha invitato il popolo a pregare per lui e a benedirlo, prima
di comunicare la sua benedizione. L’attenzione a questi momenti e a
questi gesti ci permette di cogliere la profonda teologia sottostante:
quella del popolo di Dio, di cui l’autorità è parte, non al di sopra né
parallela.
La fede nel Dio
di Gesù di Nazaret
Ci sentiamo incoraggiati dalla testimonianza di fede di Francesco,
dalla sua intensa preghiera quotidiana, dal suo affermare pieno di
profondità esistenziale: “Credo in Dio, non in un Dio cattolico, non
esiste un Dio cattolico, esiste Dio… e credo in Gesù Cristo sua
incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre,
Abbà, è la luce e il Creatore. Questo è il mio essere…” (Intervista di
Eugenio Scalfari, “Repubblica”, 1° ottobre 2013).
Ci sentiamo confortati nella nostra stessa ricerca personale e
nell’incontro con le persone più diverse dalla sua grande apertura e
comprensione: “In tutte le cose, resta sempre una zona di incertezza.
Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è
sfiorata da un margine di incertezza allora non va bene. Se uno ha le
risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è
con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se
stesso. Cercare Dio per trovarlo e trovarlo per cercarlo sempre.
E spesso si cerca a tentoni, come si legge nella Bibbia. Dio lo si
incontra camminando, nel cammino. Dio è sempre una sorpresa, dunque non
sai mai dove e come lo trovi; non sei tu a fissare i tempi e i luoghi
dell’incontro con lui… Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei
processi della storia” (Intervista a “Civiltà Cattolica”, n. 3918, 19
settembre 2013).
Francesco dichiara come sia importante dialogare con tutte le persone,
con quelle che si ritengono non credenti, proprio anche sull’importanza
della fede e sulla figura di Gesù di Nazaret. Il dialogo è possibile se
non si assolutizza la propria verità: “Io non parlerei, nemmeno per chi
crede, di verità assoluta, nel senso che assoluto è ciò che è slegato,
cioè privo di ogni relazione! Ora la verità, secondo la fede cristiana,
è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque la verità è una
relazione… ciò non significa che sia variabile e soggettiva,
tutt’altro… Ma significa che essa si dà a noi sempre solo come un
cammino e una vita. Non ha forse detto Gesù stesso: Io sono la via, la
verità e la vita? In altri termini la verità, essendo in definitiva un
tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere
cercata, accolta ed espressa…”
L’attenzione alla storia delle persone è profondo rispetto per la
coscienza: “La questione è obbedire alla propria coscienza. Il peccato,
anche per chi non ha fede, c’è quando si va contro la coscienza.
Ascoltare e obbedire ad essa significa infatti decidersi a ciò che
viene percepito come bene e come male. E su questa decisione si gioca
la bontà o la malvagità del nostro agire…” (Risposta alla lettera di
Eugenio Scalfari, “Repubblica”, 7 agosto 2013).
L’appartenenza
alla Chiesa
La Chiesa è segno del Dio di Gesù nella storia. Le parole e i gesti di
Francesco esprimono direttamente risonanze evangeliche autentiche per
cui molte persone ne colgono la genuinità.
Sta crescendo il numero di coloro che vorrebbero attenuare l’impulso
profondamente innovatore, sottolineando la continuità con i precedenti
papi, riducendo a bonarietà i suoi gesti, iscrivendoli addirittura in
una sorta di populismo ecclesiale.
Per noi è in atto un’evidente discontinuità, uno spostamento del
baricentro dalla dottrina al Vangelo, dalla Chiesa chiusa in sé alla
storia, con attenzione alle storie di tutte le persone, senza
pregiudizio ed esclusione alcuna. E questo è confermato da continue e
diverse indicazioni: una Chiesa non autoreferenziale né
autosufficiente, ma che abita le periferie, non solo geografiche, bensì
esistenziali dell’umanità. Una Chiesa in cui i pastori devono sentirsi
addosso l’odore delle pecore con cui condividono la vita; una Chiesa
non di funzionari della religione, ma di pastori, non di clericali, non
di carrieristi, ma di servitori umili e disinteressati. Questo vale
anche per il servizio del papa che riveste un potere che non può essere
concepito e attuato che come servizio. La povertà, l’essere Chiesa
povera e dei poveri e l’accoglienza piena di misericordia saranno le
qualità decisive per liberarsi dal dominio del temporalismo: “Io vedo
con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la
capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la
vicinanza, la prossimità.
Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. E’
inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri
alti! Si devono curare le sue ferite… e bisogna cominciare dal basso…
La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli
precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio:
Gesù Cristo ti ha salvato!
E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri della
misericordia, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon
samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è il
Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e
strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve
essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere
persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella
notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro
notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e
non funzionari o chierici di stato” (Intervista a “Civiltà Cattolica”,
n. 3918, 19 settembre 2013).
“E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in
tutti luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e
senza paura…”(
Evangelii Gaudium,
n. 23).
“Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti
possono far parte della comunità e nemmeno le porte dei sacramenti si
dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi…
L’Eucarestia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale,
non è un premio per tutti, ma un generoso rimedio e un alimento per i
deboli… Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non
come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna
dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”(
Evangelii Gaudium, n. 47).
“…Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita
per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la
comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze.
Non vogliamo una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce
rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa
deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che
tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione
dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che
l’accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di
sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci dentro le
strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci
trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo
tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete
senza sosta: Voi stessi date loro da mangiare (Mc 6, 37). La verità su
Dio e su noi va espressa dalla vita e non dalle definizioni”(
Evangelii Gaudium, n.49).
Quando il 13 marzo ha iniziato ufficialmente il suo servizio, Francesco
ha dichiarato che la prospettiva della Chiesa, sull’esempio di
Giuseppe, è quella di custodire: non la Chiesa, non la dottrina, non i
valori non negoziabili, ma di custodirci gli uni gli altri; non in modo
generico ma con riferimento concreto agli affamati, agli assetati, ai
denudati di vestiti, di verità e di dignità, ai carcerati, agli
ammalati, agli stranieri… E insieme custodire tutti gli esseri viventi,
l’intero creato…
Francesco ha parlato con la leggerezza del cuore misericordioso anche
della vita che va protetta, senza i toni dell’intransigenza o di una
ideologia della vita congelata e sacralizzata.
“Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto,
matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è
possibile. Io non ho parlato molto di queste cose e questo mi è stato
rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto.
Il parere della Chiesa del resto lo si conosce e io sono figlio della
Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione (ne ha parlato in
Evangelii Gaudium) . La
religione ha diritto di esprimere la propria opinione a servizio della
gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale
nella vita personale non è possibile. Bisogna sempre considerare la
persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna
le persone e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro
condizione. Bisogna accompagnare con misericordia” (Intervista a
“Civiltà Cattolica”, n. 3918, 19 settembre 2013).
I gesti
confermano le parole
Ci sentiamo confortati e incoraggiati da Francesco per la coerenza fra
le parole e i gesti. Ha continuato a vivere a Santa Marta, rifiutando i
palazzi apostolici per non sentirsi isolato e prigioniero, lui abituato
a vivere fra la gente, a prepararsi il cibo da solo, a usare i mezzi
pubblici, a relazionarsi direttamente. Consuma i pasti nel refettorio,
insieme agli altri, sedendosi nel posto che trova libero, non in uno
riservato al papa. Veste in modo semplice e sobrio: non abiti
particolari, solo quello bianco tradizionale dei papi; anche nelle
celebrazioni liturgiche indossa i paramenti in modo essenziale; calza
le scarpe di sempre. Usa auto di piccola cilindrata; soprattutto cerca
il rapporto diretto con le persone nell’incontro a tu per tu,
nell’abbraccio, nei sorprendenti dialoghi al telefono. Sono anche
questi i segni della Chiesa che sempre abbiamo desiderato!
Alcuni gesti
rivelatori
- La celebrazione dell’Eucarestia
del giovedì santo nel carcere minorile di Casal di Marmo
conferma la Chiesa che abita le periferie esistenziali; dopo aver
lavato e asciugato i piedi ai giovani detenuti, li bacia,
inginocchiato: la Chiesa del Vangelo è inginocchiata di fronte alle
persone, le riverisce, le accoglie, le tocca con amorevolezza; due sono
giovani donne, una è musulmana. Francesco bacia il corpo della donna e
così riprende i gesti di Gesù di Nazaret fatti di misericordia e di
tenerezza.
- La sedia vuota al concerto in
Sala Nervi dichiara alla Chiesa e al mondo che il papa non ha
bisogno per rafforzare il suo servizio della corte dei cardinali, dei
diplomatici, dei politici presenti per ricevere loro lustro dal papa.
La corte principesca, l’immagine dei poteri che si compiacciono
reciprocamente non servono più alla Chiesa, la sedia papale vuota
indica che la strada del Vangelo e dell’umanità è un’altra ed è un
segno della necessaria e urgente purificazione della Chiesa.
- La visita a Lampedusa, su
invito del parroco decisa in modo autonomo, vissuta in semplicità, con
un accompagnamento essenziale. Francesco si è recato su quest’isola
emblematica in atteggiamento penitenziale dopo una ennesima tragedia
del mare. Afferma l’importanza della memoria dolorosa delle vittime,
saluta un gruppo di immigrati presenti uno ad uno a ribadire
l’importanza massima di ogni persona; celebra l’Eucarestia con il
calice di legno ricavato dalle barche per il trasporto dei migranti
sfasciate sulla riva con l’ambone dello stesso legno, come pure il
pastorale, su un altare formato da una barca. Denuncia la
globalizzazione dell’indifferenza e l’anestetizzazione dei cuori. E
dopo la tragedia nel mare di Lampedusa dei primi di ottobre pronuncia
con la voce rotta dall’emozione e dal pianto: “Vergogna… vergogna…” per
noi tutti, per la durezza di cuore, per le omissioni colpevoli e per
l’ipocrisia della politica. Durante la visita al Centro di Accoglienza
Astalli di Roma provoca gli ordini religiosi, tutte le realtà
ecclesiali e ciascuna e ciascuno di noi, dicendo che sarebbe molto
grave gestire i conventi vuoti con finalità di guadagno invece di
ospitare “i rifugiati che sono la carne viva di Cristo nella storia”.
Una visita significativa e programmatica, quella di Lampedusa, ignorata
completamente dalla politica. Per noi resta un riferimento luminoso.
- La giornata di digiuno e
preghiera per la pace. Ci sentiamo confortati e incoraggiati
nell’impegno di questi anni per la nonviolenza attiva e la costruzione
della pace che si esprime in modo particolarmente incisivo nell’annuale
Via Crucis Pordenone-Base USAF di Aviano giunta alla prossima 18a
edizione. La proposta di preghiera e di digiuno per la pace del 7
settembre scorso ha avuto risonanza e partecipazione mondiale. La pace
è stata avvertita come responsabilità e compito di ciascuno e di tutti;
le persone che cercano di vivere la nonviolenza attiva e la costruzione
della pace a qualsiasi popolo, cultura, lingua, religione, convinzione
appartengano si sono riconosciute nelle parole di Francesco che ha
denunciato l’uso della forza, il commercio delle armi e la guerra come
inutili, irrazionali, disumane, portatrici di morte. La proposta di una
giornata di riflessione, preghiera e digiuno legata anche al probabile
uso della forza armata in Siria deve diventare una scelta permanente
che si traduca in sensibilità e iniziative operose e concrete per la
pace.
- Il viaggio in Brasile per
andare ad ascoltare prima che insegnare. L’immersione fra la gente per
elevare assieme un grido contro le ingiustizie inaccettabili; contro
l’ingiustizia strutturale che in modo perverso esclude, emargina una
porzione consistente di umanità, milioni e milioni di persone
considerate numeri, eccedenze, esuberi, scarti. Così Francesco si
esprime nella recente esortazione Evangelii
Gaudium, al n. 55: “Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione
dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32, 1-35) ha trovato una nuova e
spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di
un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano…, con
ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la
speculazione finanziaria. Il denaro deve servire e non governare!”
Francesco entra nella favela per condividere e guardare il mondo,
l’umanità e la Chiesa con gli occhi di quella gente. Entra in una
baracca a telecamere spente, per evitare strumentalizzazioni riguardo
la sua immagine e popolarità, sulle spalle dei poveri (ricorda a noi il
“fai strada al povero senza farti strada” di don Milani).
La riforma
della Chiesa
Francesco mette mano ad alcune riforme strutturali quali il
ripensamento e la riformulazione dello IOR, forse in vista di una banca
etica. Nomina otto cardinali come gruppo per una gestione più
collegiale e per una riforma incisiva della Curia Romana, finalmente
libera da lobby economiche e intrecci di poteri oscuri; nomina una
commissione per il dramma della pedofilia.
La collegialità nella Chiesa; il pluralismo delle teologie e delle
liturgie; la valorizzazione dei diversi ministeri; la libertà del
celibato; l’ordinazione di uomini sposati, il ministero sacerdotale
alle donne “Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia
della donna... il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si
prendono le decisioni importanti” (intervista a “Civilità Cattolica”,
n. 3918, 19 settembre 2013); un ripensamento sereno dell’amore e della
sessualità nelle loro diverse espressioni; soprattutto la continuazione
con perseveranza dell’affermazione concreta della Chiesa povera e con i
poveri, fedele al Vangelo, accogliente e misericordiosa sono probabili
appuntamenti che attendono il ministero del vescovo di Roma.
L’esortazione apostolica
Evangelii
Gaudium raccoglie le indicazioni del Sinodo dei Vescovi del 2012
e, di fatto, prospetta su diversi aspetti il percorso programmatico per
un rinnovamento della Chiesa: un documento importante da leggere
personalmente, nelle comunità parrocchiali, nelle diocesi.
La provocazione
e il conforto di Francesco
Non siamo mossi da alcuna esaltazione, ma dalla constatazione,
condivisa con tante persone, di una Chiesa maggiormente vicina e
credibile; dalla conferma che il Vangelo può essere vissuto nella
storia, nell’esperienza della propria vita, che può dire “qualcosa di
profondo”, significativo per le donne e gli uomini di oggi; dalla
spinta a cogliere altri segni di vita e di speranza nella nostra realtà
quotidiana: lo stile forte nella fede e solidale nel sostegno delle
popolazioni delle Filippine e della Sardegna nell’affrontare le recenti
tragedie, l’esempio di Malala, undicenne fanciulla pakistana (e di
bambini di altre parti del mondo), che alle Nazioni Unite e al Mondo
intero grida: “Mandateci penne (istruzione) e non armi”, un’indagine
del Censis che ci fa sapere come, proprio dentro il ciclone di una
crisi che morde, “l’egoismo è stanco e cresce tra gli italiani la
voglia di ritrovare l’altro e la disponibilità ad aiutare gli altri”
(“Avvenire” del 7 novembre 2013).
Piccoli segnali, ma sintomatici di un clima che sta cambiando e può
continuare a cambiare verso il compimento delle doglie del parto e la
nascita di quella umanità nuova, finalmente illuminata dall’amore di
Cristo, che prepara “cieli e terre nuove” (Ap 21,1). Con questo
cambiamento ispirato alla radicalità evangelica, di cui Francesco,
vescovo di Roma e papa, sta dando splendida testimonianza, com’è ancora
possibile dire di credere in Gesù Cristo e poi vivere in splendidi
palazzi, usare auto di lusso, frequentare i salotti dei ricchi e dei
potenti, condurre uno stile di vita elitario e privilegiato; continuare
ad essere chiamati con titoli onorifici, a vestire abiti clericali, a
celebrare liturgie con solennità autoreferenziali? Come continuare a
disinteressarsi della pace, degli immigrati e dei rifugiati, dei
carcerati? Come nelle nostre diocesi e parrocchie privilegiare gli
aspetti organizzativi e strutturali e non coltivare l’atteggiamento di
fondo della misericordia, dell’accoglienza, della cura, dell’
accompagnamento? Quali possono essere le motivazioni della mancanza del
coinvolgimento delle diocesi e delle parrocchie nell’esprimere le
proprie considerazioni rispetto al questionario di 38 domande inviato a
tutti i vescovi del mondo che riguarda i diversi aspetti delle vicende
familiari in preparazione all’assemblea sinodale dell’ottobre 2014?
Perché sottacere e sminuire la partecipazione a questa grande
consultazione di tutta la Chiesa?
Noi pensiamo che le parole e i gesti di Francesco vescovo di Roma e
papa esprimano in maniera diretta ed esplicita la fede e l’annuncio di
Gesù di Nazaret e del suo Vangelo, Buona Notizia per l’umanità, e
chiedano impegno al cambiamento. Da queste motivazioni e riflessioni ci
sentiamo incoraggiati e con gratitudine partecipiamo alla
indispensabile riforma della Chiesa, per la quale già in questi anni
abbiamo cercato di esprimere con convinzione parole e segni.
In prospettiva
La Chiesa che esce, che abita le periferie esistenziali in cui incontra
le persone ci porta a considerare i disoccupati, i nomadi Sinti e Rom,
gli immigrati, i carcerati, tutti coloro che fanno fatica e che sono ai
margini e a condividere le loro storie; a sentire preoccupazione per la
Madre Terra impoverita, colpita, sfigurata.
Avvertiamo questo profondo coinvolgimento a restituire, a restituirci
la vita, a noi esseri umani e a tutti i viventi. Sentiamo Francesco,
vescovo di Roma e papa, come segno inatteso, sorprendente e
confortante, presente in questo coinvolgimento perché ci sia vita per
tutti.
I preti firmatari:
Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Giacomo Tolot,
Piergiorgio Rigolo, Andrea Bellavite, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai,
Renzo De Ros, Albino Bizzotto, Antonio Santini.