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Evento
Giovani all'altezza di un tempo nuovo
Una riflessione di speranza
Dopo il ritorno dalla GMG di Lisbona
Paolo Iannaccone
Si è conclusa domenica scorsa la Giornata Mondiale della Gioventù diLisbona. Alcuni interventi dei media hanno riportato l’attenzione sulmondo giovanile alla luce di una situazione ecclesiale alquantocomplessa e critica soprattutto a partire dalla constatazione di chiesesempre più deserte; ci sta, i numeri non dicono certo tutto, ma avereil coraggio di rendere i giovani davvero protagonisti del nostro oggi(e non di un famigerato, lontano domani…) è la grande sfida dellasocietà oltre che della Chiesa.
Altri interventi sono stati espressione di accesa critica con chiavi dilettura superficiali e ridicolizzanti da lasciar basiti per la miopevisione senza futuro, per i contorni di un quadro senza speranza.Probabilmente come quello che aveva respirato su fronti più globalipapa Roncalli quando, l’11 ottobre 1962, aprendo il Concilio VaticanoII, dissentì risolutamente dai “profeti di sventura, che, sebbeneaccesi di zelo per la religione, annunziano sempre il peggio, quasiincombesse la fine del mondo”.
Lo scorso 9 agosto, nel 78° anniversario di Nagasaki, l’incontro dipacifici manifestanti contro le armi atomiche davanti alla Base Usaf diAviano ha fatto riaffiorare un’affermazione di sant’Agostino chedesidero riportare: “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno eil coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio percambiarle”. Credo che (anche) le GMG nel loro piccolo stiano dando uncontributo di speranza permettendo ai giovani di lavorare proprio suquesti due fronti: lo sdegno per il male, le sofferenze di persone e dipopoli interi, le ingiustizie subite dai prepotenti di turno, laviolenza comminata contro l’uomo e la madre terra,… e il coraggio pertentare di cambiare qualcosa, di lasciare il mondo meglio di comel’abbiamo trovato, il coraggio di scendere in campo anche a rischio diqualche scivolata o di sporcarsi le brache, il coraggio di metterci lafaccia in prima persona e di aprire alleanze, costruendo ponti senzapaura di perdersi. Francesco, tornato da Lisbona, ha detto: “La GMG hadimostrato che esiste un’alternativa alla guerra”. Oso dire: la GMG èalternativa per lo shalom. È scuola di speranza per una vita di senso.È laboratorio della fede per uomini e donne evangelicamente solidali efiduciosi. È workshop di civiltà per cominciare a realizzare un mondorealmente senza confini.
A scrivere queste cose non è certo un idolatra delle GMG e nemmeno un“Papaboy”. Da una parte, alla soglia dei sessant’anni, penso di esseresemplicemente un credente che cerca – e, lo dico con umiltà, conquotidiana fatica – di camminare sulle impronte di Gesù di Nazareth,attingendo da Lui la forza e la grazia per rinnovarmi e divenire semprepiù uomo; dall’altra, riconosco che (anche e non solo) quegli eventiabbiano contribuito a farmi sentire parte viva di una Chiesa davverocattolica nel senso di universale, e nel contempo mi abbiano confermatonella necessità di quei piccoli e grandi cambiamenti e scelte di campoindispensabili per uscire dall’individualismo e da una pericolosa,inumana, sempre incombente e spesso dominante indifferenza. Cosa a cuimi sento chiamato ogni giorno, pur nella consapevolezza dei limitipersonali.
Per questo mi ritrovo pienamente in chi riconosce come nel corso diquasi quarant’anni i giovani della GMG, immischiati nel mondo, nelnascondimento di famiglie “incasinate” e sorridenti che con fedeltà alvissuto si aprono alla vita e all’accoglienza, nella quotidianità diprofessionisti che non si rassegnano alla mediocrità e mettono amorenel proprio lavoro, nella scelta di chi fa spazio a progetti disolidarietà, di giustizia o di servizio al bene comune, siano “come unfuoco acceso sotto la cenere: non lo vedi, ma c’è e riscalda”. Èl’augurio che mi sento di custodire di vero cuore specialmente verso igiovani che per la prima volta hanno partecipato a questo evento: siatebronze vive, perché, “se sarete quello che dovete essere, metteretefuoco in tutto il mondo!”, ricordava nel 2000 da Tor Vergata GiovanniPaolo II citando santa Caterina da Siena.
Sono convinto che il cristianesimo, inteso nel senso più ampio einclusivo che coinvolge chiunque accoglie in sé l’Amore, non è allafine. Sarà diverso da un tempo, forse meno riconoscibile da etichette,ma non morirà; lo Spirito del Risorto, che soffia dove vuole, sta giàtrovando modi nuovi e nuovi protagonisti per scrivere inedite pagine diun mondo più giusto, più libero, più vero, più solidale, più umano, unmondo senza confini più carico di speranza. E io sono certo che,contrariamente a quanto professano i “profeti di sventura”, i giovanid’oggi ne sono all’altezza.
Paolo Iannaccone
(Si ringraziano i direttori del Messaggero Veneto di Udine e del Piccolo di Trieste per la disponibilità a pubblicare il presente articolo sul rispettivo quotidiano del 12 agosto 2023)
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