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IL CIELO INTERO
La riflessione di Brutas, detenuto presso la Casa Circondariale di Udine
Lago di Cavazzo il 2 ottobre 2011
Carcere e detenuti
ESPERIENZE DI VITA
“Nonho più il fisico dei vent’anni, e talvolta mi scricchiola un po’ laschiena, ma ancora oggi, con l’ingombro di qualche anno di troppo sullespalle oramai un po’ curve, devo dire, narrare, testimoniare, urlando,queste poche parole, ai tanti giovani che hanno la pazienza, la volontàed un po’ di umiltà per ascoltare.”
Giovani e spavaldi, sicuri e baldanzosi nell’immaturità di ogni età,ignari della vita, alla ricerca di sogni mai esistiti, vanno in gruppopotenti, nelle risate sguaiate, impasticcati e bevuti di una felicitànon vera, sognando una esistenza perduta. Sono stropicciati, un po’stanchi, hanno sonno, non trovano lavoro. Hanno vent’anni, a voltetrenta, vanno, si fanno e tornano sempre alla ricerca di quella vitache non li vuole o non li ha mai voluti. Ma all’origine ci deve esserequalcosa di indefinito, di sconosciuto, di arcano che attraversasubdolamente la nostra mente debole e ricettiva, procurandoci dellescosse violente che ci dispensano sicurezza, superiorità, e ancheprofonda sconsideratezza. Vigliacchi ci lasciamo avvolgere, perciò, dalvessillo della più assurda stupidità e presunzione di onnipotenza checi porta quasi sempre a confondere il lecito con l’illecito e con moltaleggerezza, dimentichi dei consigli di quelli che ci vogliono bene,optiamo per la strada più facile o meglio che ci sembra più facile.
Per orgoglio o spirito di emulazione verso gli amici più grandi, pervoglia di soldi facili e immediati, per fare colpo su qualche ragazza,o anche solo per fare una bravata in una sera da niente, in una seradove solo la noia è la nostra fedele compagna, ci lasciamo tentare dalfascino dell’avventura proibita, volgiamo essere il protagonista, ilprimo attore e come in un film alla televisione entrare sullascena del crimine, gioiamo nel sentire l’adrenalina scorrere e pulsarenelle vene, pronti a scattare, pronti a giocarci la vita in unasfida stupida e assurda con gli “sbirri” che, informati, nel buio ciattendono, pronti a fregarci.
Tentiamo sempre di tenerci aggrappati con salda sicurezza allaconvinzione che possiamo smettere in qualsiasi momento, non siamoancora “criminine-dipendenti”, purtroppo però questa nostracertezza non è stata comunicata anche alla nostra debole volontàe quindi il pensiero “posso smettere quando voglio” rimane solo un meropensiero che usiamo come corazza per trovare la forza, la voglia disopravvivere e dimostrare a noi stessi, prima che agli altri, che siamoi più forti.
Ma quasi sempre queste avventure, queste bravate, finiscono più o menotragicamente, sicuramente non come avremo voluto, sognato e sperato, eci troviamo increduli e spauriti in una cella squallida e scialba,ancora prima che la sentenza di un processo di condanna.
Si spacca il cielo, urla il mio cuore, inorridisce il pensiero, piangela terra… bestemmia la vita.
Abituato alla libertà, al cielo intero, al sole caldo, alla pioggia,alla nebbia delle sere autunnali, ai pianti, ai sorrisi delle personeche mi passano accanto, all’improvviso tutto questo non c’è più e misento precipitare in una cella piccola con le sbarre murate ed i lettia castello, in un silenzio irreale interrotto solo dai rumori metallicie anonimi dei blindo e dei carrelli che attraversano i corridoiper dispensare un po’ di cibo agli affamati.
Occupiamo celle affollate che gli altri chiamano camere, e nellatristezza abbassiamo lo sguardo, abbassiamo la voce, abbassiamo lavita, e ci consegniamo ad un’altra notte che, per chi dorme, fuori daqui, forse vuol dire sognare, per noi invece, che inchiodati dalladisperazione rimaniamo svegli, macerarsi nell’angoscia e nel tormentocercando un nascondiglio, un rifugio dove poter leggere lo sgomentodell’anima.
C’è il silenzio della noia attorno a me, e pur con la finestra aperta,manca l’aria, l’ossigeno, la voglia, l’entusiamo, la forza. L’ozio èdifficile da sopportare,i ricordi, quando riusciamo a trovarli, sonopesanti fardelli, ma ci tengono ancorati a questo qualcosa che glialtri chiamano vita.
L’assurdo è l’unico protagonista dei silenzi notturni, delle giornatevuote, delle speranze cancellate, della rabbia, del rancore e di questaesistenza sballata. Siamo rinchiusi clandestini di una vita sbagliata,siamo ombre ingombranti, ombre pesanti, come pacchi, posati, stivati,spostati. Siamo sempre osservati a distanza, nessuno ci chiede,nessuno ci domanda, nessuno s’informa, siamo in tanti ma non c’èallegria, non c’è festa, ognuno resta solo con il suo silenzio.
Siamo prigionieri in cortile, circondato da cemento, nel cemento, agirare intorno, come fiere braccate, per quell’ora d’aria che ci vieneregalata. Qua, tra rabbia, disperazione, odio e rancore, anche isogni diventano aceto, e la noia mortifica gli occhi, un po’ pernon guardarci, un po’ per non essere visti.
Consumiamo il tempo che passa inutilmente, bruciando sterili ore,ingabbiati, fumiamo e dormiamo, dormiamo fumiamo. Questo soggiornoobbligato in una gabbia che non è ancora dorata solo l’ozio e il nullaci appartengono.
Stanchi arriviamo a sera, per un vagare incessante, in questa esistenzaspenta, alla ricerca di un qualcosa che ci dia la forza persopravvivere un altro giorno ancora, allo sconforto, all’ansia,all’angoscia, alla tristezza, al dolore, a questa non vita. Non ci sonopiù stelle, per noi nel cielo nero della notte, anche se talvoltavediamo la luna ballare il tango. Non c’è più speranza, non c’è domani,con il terrore di perdere anche gli affetti, l’amore, mentre l’amiciziase ne già andata.
Consumiamo i giorni, le notti, il tempo nel grigiore opaco di una vitache stupidamente si è sbriciolata tra le dita, i una sera qualunque diinsensata incoscienza per vincere una partita che alla fine non ci vedemai vincitori. Ne valeva la pena?
Per un attimo di esaltazione, per pochi spiccioli di grandezza, per unorgoglio mal posto, per una sensazione di potere, ridicola, persentirci qualcuno, ora sono qui, in mezzo ad altri ma sempre solo conla mia disperazione ed il rimorso che mi tormenta.
Vorrei essere libero, vorrei non aver mai giocato questa partita.Vorrei avere più tempo, più luce più spazio, più sorrisi e nonimmalinconire alle prime ombre della sera, rimpiangendo di aver buttatoun altro giorno di questa vita che inesorabilmente passa e mai ritorna.
Vorrei ancora vedere la festa di un tramonto infuocato sopra i montilontani.
Vorrei fottere l’angoscia, la malinconia, la noia, vorrei tornareindietro nel tempo, e assieme a quelli come me, cantare quello che ciresta, lacrime e graffi nella voce, e smettere di giocarci ogni giornola vita a dadi e l’indomani a tre sette.
Corrono i ricordi, volevo essere di più e prima un uomo, per giocarmimeglio questi anni ballerini, prendere, fare, andare, tornare, avereniente e poi magari avere tutto. Vorrei non avere più paure, per questoe per quello, per lui o per l’altro, cacciarle, eliminarle.
Ed oggi, per riprendermi questa vita che mi appartiene, vorrei il suonodi una tromba in fondo al cuore, per assaporare, di nuovo quanto distraordinario ci possa essere in un’ora di vita, spesa per bene, senzaansia, senza fughe, senza paure, magari con la testa all’insù eguardare ancora il cielo tutto intero.
Brutas
Vedi anche
02/10/2011
Incontro dei popoli per i beni comuni