Il ricordo di padre David Maria Turoldo

A vent'anni dalla sua scomparsa

Era morto a Milano il 6 febbraio 1992
Vivo spesso la memoria di padreDavide Turoldo, non solo oggi, 20° anniversario della sua mortefisica: personalmente, nella comunità, negli incontri pubblici. E’stata molto importante in questi anni la presenza dell’AssociazioneTuroldo che con la guida di don Nicola Borgo ha via via propostomomenti di conoscenza, di riflessione, di attualizzazione; quindil’incoraggiamento a chi continuerà questa indispensabile presenza. Uomodi fede, profeta e poeta, così anche personalmente lo sento; ilpericolo della occasionalità e della strumentalità nei suoi riguardi èsempre in agguato. Ritengo che dovremmo chiederci in continuità, quindianche in questo oggi della storia, che cosa direbbe padre Davideriguardo alla fede e alla Chiesa; ai poveri e alle guerre, agliimmigrati e all’ambiente vitale.
Ripensando alla sua profezia certamente scuoterebbe la Chiesarichiamandola ad essere fedele al Vangelo e al Concilio Vaticano II;denuncerebbe, come ha sempre fatto con passione veemente, lacostruzione e il commercio delle armi e le guerre, ogni guerra; e conla voce profonda e vibrante, in nome di Dio, evidenzierebbe comecontrario a Dio e all’uomo, ogni forma di pregiudizio, discriminazionee razzismo velato ed esplicito, personale, sociale e politico. Certo sisarebbe adirato contro l’uso strumentale della religione, perfino delCrocifisso, per difendere identità chiuse, difensive e aggressive. Ecerto continuerebbe  a cantare con la sua poesia ricca diprofondità, di evocazioni, di contemplazione tutti gli esseri viventi,l’intero creato, nelle sue evidenze e nel suo mistero.
Nel novembre del 1992 la rivista CiviltàCattolica, fonte autorevole, certo non sospetta così scrisse dilui: “Davide Turoldo è stato fra gli spiriti più vivaci del nostrosecolo. Le esigenze, le ambiguità, gli approdi, le scelte che hannocontraddistinto la seconda metà del Novecento hanno in lui unsismografo attento e appassionato. Gli aggettivi che meglio loqualificano sono quattro: ribelle, impetuoso, drammatico e fedele.Ribelle a quanto offende Dio e quindi anche l’uomo, come l’ingiustizia,il sottosviluppo, la sopraffazione, la rassegnazione passiva, la fedecome sistema e alla politica come potere, il razzismo. Impetuoso:talvolta anche intemperante nelle sue azioni e nei suoi atteggiamenti.Su quale fronte non ha combattuto? A quali marce non ha partecipato?Quale provocazione non ha fatto sua? Drammatico: nel senso che havissuto ogni realtà, fede, arte, scelte in chiave drammatica, di lottae impegno totale. Fedele: alla sua fede, alla sua vocazione, alla suaorigine, alle sue scelte: “fedele e libero”, questo era il suo motto.Era peraltro prevedibile che la sua esistenza si sarebbe svolta inritmi movimentati, polemici, tesi, ma sempre all’ombra dell’onestàverso Dio, se stesso, gli altri”.
Sempre presenti in lui le sue radici da cui si è aperto al Pianeta; lasua terra, il Friuli, non certo in modo chiuso e localista,“soprattutto un determinato Friuli, quello prima del terremoto e delleautostrade”; e la madre in intima relazione generatrice con Maria. Nonla miseria da cui liberarsi, ma la povertà come condizione esistenzialedi salvezza. La vocazione avvertita come mistero e incarnazione nellastoria: “I poveri sono stati la causa della mia vocazione; sono ilcontenuto della mia fede, fonte di ispirazione della mia poesia e dellamia predicazione. Per loro mi sono fatto voce, sempre a sognare igrandi sogni di umanità e di giustizia”. La passione inscindibile perDio e per l’uomo sono state la motivazione e insieme l’espressionedella sua dedizione e del suo impegno.
A Milano, nella corsia dei Servi; nei movimenti per la libertà e lagiustizia; nelle omelie in Duomo per dieci anni; nel coinvolgimentoappassionato nell’esperienza di don Zeno Saltini a Nomadelfia; neivissuti tribolati per i richiami da parte delle gerarchie finoall’imposizione di lasciare l’Italia: “ero senza casa e senza chiesa edovevo girare” e questo in non pochi paesi; nella presenza nellaFirenze di Elia Della Costa, Giorgio La Pira, don Milani, padreBalducci; nella presenza a Udine alle Grazie con l’Eucarestia delladomenica sera; nel film Gli ultimi.E sempre ad annunciare la Parola di Dio incarnata nella storia, conpassione; ad esprimere idealità, inquietudini, contemplazione eincarnazione nella poesia.
La sua lunga presenza a Fontanelle di Sotto il Monte nell’abbazia di S.Egidio è originata da papa Giovanni XXIII: “Quando è comparso papaGiovanni io ho pensato: finalmente è arrivato un uomo che non hapuntato su oro e argento ma solo sulla fede e nel nome di Gesù hadetto: -Alzati e cammina. Etutto il mondo si è messo a camminare. Un luogo di accoglienza eospitalità a chiunque è in ricerca; di studio, riflessione e preghiera;di celebrazione. Un uomo di fede profonda nella ricerca, nel tormento,nell’abbandono fiducioso in Dio, coinvolto in Gesù di Nazaret che lorivela; il coinvolgimento per una Chiesa profetica: “L’autorità dellaChiesa non è nella sua capacità di organizzazione e di forza, nè neisuoi depositi e nelle sue ricchezze; l’autorità è nella sua capacità didonare, di servire... E non mi troverete mai che abbia negatol’autorità; io ho sempre negato il potere, sempre, tutta la mia vita.Volevo semplicemente essere fedele con me stesso, fedele e libero...Una Chiesa senza profezia è un cadavere! Sarà un’impresa umana, ma nonè una Chiesa”
Anche gli ultimi anni di malattia sono stati per lui un tempo didialogo, anche dibattito con Dio, di essenzialità, di affidamento, ditestimonianza per molti, di speranza. Due ricordi: nel 1979, nel cinemaparrocchiale di Paderno a Udine, dove l’avevo invitato per presentareil suo film Gli ultimi; e nelsettembre ’91 all’arena di Verona. Così il suo amico padre Balducciricorda il suo ultimo incontro con padre Davide: “Quando si alzò vidiaccanto a lui la morte, ma vidi che egli era più grande, la sovrastava.Camminando accanto a me per le vie di Milano, in quell’ora notturna,così gracile e così nobile, capii che egli ormai andava oltre, versol’Eterno. E ricorda il settembre ’91 all’arena di Verona. C’eranoventi, trenta mila giovani del popolo della pace. Appena egli apparvecon passo mal certo, per sedersi sul palco, proruppe un applausoimmenso fra un gioioso sventolio di fazzoletti e striscioni colorati.Sembrava una scena gloriosa dell’Apocalisse. Aveva le lacrime agliocchi. -Sii felice, Davide, sono gli angeli che ti accoglieranno introno- gli dissi”.
Mi chiedo: quanto e come si vive la memoria del credente, profeta epoeta padre Davide Maria Turoldo, a cominciare dalle chiese del nostroFriuli? Certamente troppo poco!

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02/04/2012

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