►Ci sono luci e luci.
◼ Ci sono luci abbaglianti che inquinano l’atmosfera, luci violente che disturbano la vista causando incidenti, che folgorano e feriscono gli occhi causandone gravi danni.
Ci sono luci tenebrose di completo disprezzo per i valori che sostengono la vita civile dei nostri Paesi; ultimo il caso di questi giorni in diverse città in Inghilterra e Irlanda del Nord, messe a ferro e fuoco da estremisti con una vera e propria caccia all’immigrato, negozi di stranieri bruciati, polizia assaltata, saluti nazisti, hotel di immigrati minacciati, tutti atti di violenza seguiti alla strage di tre bambine ad opera di un 17enne a Southport e alla successiva ondata di “fake news” diffuse sui social media all’insegna dell’odio contro i migranti.
Ci sono luci fungo, come quelle tremende che rifulsero il 6 e il 9 agosto del 1945 prima a Hiroshima e poi a Nagasaki, armi atomiche che con le loro radiazioni portarono ombre di morte, seminando disperazione.
Ci sono luci che tratteggiano cieli notturni abitati da guerre fratricide, vere «avventure senza ritorno».
◼ E ci sono luci, come il sole, fonti di energia che riscaldano, fanno maturare e germogliare la vita del creato e delle sue creature.
Luci, come il faro, che nella notte e nella tempesta segnalano la costa e orientano al porto sicuro.
Luci a servizio della vita ordinaria dell’uomo che, dopo il tramonto, così riesce ad abitare pure il buio.
Luci che illuminano il cammino, come quella flebile della candela, capace di estinguere la paura di passi incerti nell’oscurità.
Luci che purificano, che sterilizzano, che disinfettano, che uccidono i batteri.
Luci portate dagli uomini attraverso parole e gesti di prossimità, di attenzione fraterna e di rispetto e cura, di misericordia e di compassione, di solidarietà e di amore gratuito, di umanità.
►La differenza sta tutta lì, nella finalità di senso: se a servizio dell’uomo e del creato, o contro l’uomo e il creato.
L’umanissimo Gesù di Nazareth – così come lo chiamava il nostro caro Pierluigi Di Piazza, presenza assidua a questo annuale raduno e, ne siamo sicuri, in modo diverso presente anche oggi tra di noi –, dicevo, l’umanissimo Gesù di Nazareth, che con la sua vita e le sue scelte, le parole e i gesti venne come «luce che splende nelle tenebre» (cf. Gv 1,5), non ebbe timore a dire ai suoi discepoli: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14) e li invità a far risplendere la propria luce davanti agli uomini «perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (cf. Mt 5,16).
Il punto sta nell’essere luce “per” gli altri e mai “contro” gli altri.
Affermava Ernesto Balducci: «Noi decidiamo il nostro futuro ogni volta che dinanzi all’altro scegliamo di essere nella reciprocità del dono o di costituirci soggetti di dominio».
Sta dunque a ciascuno scegliere.
►Al Centro Balducci crediamo che, essere luce, passi ancora attraverso le sfide dell’accoglienza, dalle quali impariamo a vivere da viandanti, in cammino con gli altri uomini e donne della terra, una terra che non abitiamo da padroni.
Questa mattina vorrei allora dare voce:
Vorrei dunque farmi portavoce delle vittime di ognuna delle oltre 50 guerre che si stanno consumando in questo momento sul pianeta – 40.000 le vittime solo sulla Striscia di Gaza di cui il 70% trattasi di bambini e donne –; vorrei farmi portavoce del grido degli sfollati da ogni regione – solo a Gaza due milioni di persone, il 90% della popolazione –, costretti a vivere anche la violenza del mancato rispetto del diritto internazionale, con il taglio degli aiuti umanitari e delle forniture idriche, privati della cura delle malattie, che in quei contesti proliferano, e delle ferite, che non possono essere curate.
Vorrei assieme a ciascuno di voi dire che non è concepibile che l’unica via di risoluzione dei conflitti sia l’uso delle armi, che è uno scandalo intollerabile che – come afferma papa Francesco – «mentre nel mondo c’è tanta gente che soffre per le calamità e la fame, si continua a costruire e vendere armi e a bruciare risorse alimentando guerre grandi e piccole» (Angelus di domenica 28 luglio 2024).
Vorrei gridare con Amnesty International quella che è una vera e propria «macchia per il Governo italiano» cioè, dopo il tempo dei respingimenti illegali di chi attraversa la Rotta Balcanica, rotta già costellata da violenze, torture e restrizioni arbitrarie, la costruzione dei Centri di detenzione in Albania.
E vorrei, sempre con papa Francesco, ribadire che il negoziato è coraggioso e che solo il dialogo è capace di una pace giusta e possibilmente duratura. Vorrei sollecitare il nostro Paese e l’Europa alla responsabilità per una doverosa conseguente azione politica e diplomatica affinché sia rispettato il diritto umanitario internazionale e si ponga fine alla disumana ed immorale situazione in cui versano i popoli in conflitto, dove a pagare il più alto prezzo sono bambini, donne e anziani.
È ora di dare una nuova anima all’Europa! È l’ora di darle un volto più umano e, in linea con Ernesto Balducci e molti altri uomini e donne profeti del nostro tempo, foriero di futuro!
►Per questo vorrei concludere con un’icona che mi dà speranza e non proviene dal nostro Continente cosiddetto democratico: negli ultimi mesi abbiamo accolto al Centro “Balducci” Saleh, settantunenne afghano, in attesa di protezione umanitaria internazionale, da almeno dieci anni lontano dalla sua Patria, dopo esser passato attraverso vari Paesi: Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Francia, e ora Italia. È persona fortemente vulnerabile e non solo per l’età.
Diverse persone del Centro, a partire dai bambini, lo chiamano “nonno”. Il suo sorriso, la sua pacatezza e la sua silenziosa discrezione ci hanno da subito conquistati. Da quando è arrivato, senza che nessuno gli chiedesse nulla, si sta prendendo cura del nostro giardino, riuscendo a darne un volto nuovo, più bello, più ordinato. Con l’aiuto di una pentola rovesciata o di un mattone, sui quali si siede, strappa pazientemente i singoli ciuffi d’erba disobbedienti perché debordanti i limiti, sistema le pietre mettendole in ordine di grandezza e disegnando la circolarità dell’area verde. La sua è una vera e propria liturgia, di rispetto e cura della madre terra, della bellezza che dà senso alla vita, della gratitudine silenziosa che torna alla Comunità in benedizione.
Questo è il mondo in cui vogliamo credere e che vogliamo vivere. Con gli occhi di questo “nonno”, profondi e spalancati all’immenso, che per me sono simbolo di tenacia, di resilienza, di fede nel futuro.