Una scelta libera, coraggiosa e decisa dalla consapevolezzache le sue forze, del corpo e dell’animo, non sonopiù adatte per esercitare in modo adeguato, il ministero di papa fino asentirsi incapace, è lui stesso che lo dice, dati i rapidi mutamenti acui il mondo è soggetto e le grandi questioni che interpellano la vitadella fede.
Per come percepisco, ripromettendomi una riflessione più compiuta earticolata nei prossimi giorni, è un segno di inatteso,radicale, profondo cambiamento e rilievo: l’ammissione che il servizio,anche quello del papa, non è garantito di per sé dal ruolo, bensì dalla consapevolezza, dallo spirito, dalla forza di chi lo vive.
Un messaggio quindi che umanizza il magistero nella Chiesa e lafigura stessa del papa, non più indiscutibile, non piùseparato in una sfera di immutabilità e sacralità, ma ricondottoa misura umana.
Paradossalmente, a 50 anni dal suo inizio, un segno delConcilio Vaticano II, così spesso dimenticato: papaGiovanni XXIII pur sedendosi sopra di fatto non era mai salitosul trono, papa Benedetto XVI l’ha lasciato, rendendosiumilmente uomo fra gli uomini e le donne del nostro tempo, con leloro fragilità e impossibilità. Il papa si è sentito solo con il pesodi situazioni non solamente dolorose, ma anche drammatiche; inquietanti negli assetti istituzionali più vicini e delicati. Non sonosufficienti né l’ortodossia della dottrina, né la solennità dellaliturgia, né la disciplina del diritto ma soprattuttoindispensabili la forza profetica dell’annuncio del Vangelo e latestimonianza fedele e coerente di una Chiesa povera e aperta a tutti;l’esigenza di un profondo cambiamento per guidare il quale sononecessari forze interiori, ascolto, confronto, decisioni collegialipure nei compiti diversi. Un segno, quello delle dimissioni delpapa che chiede ora una continuità da parte della gerarchia dellaChiesa; che può essere uno stimolo anche per le istituzioni e lapolitica, che può interpellare ciascuno e ciascuno di noi.