Migranti scaricati in mare in Grecia

Così la civiltà europea naufraga con i profughi

Di Gianfranco Schiavone del 21 maggio 2023
Migrantiscaricati in mare in Grecia
Così la civiltà europea naufraga coni profughi
Di Gianfranco Schiavone del 21 maggio 2023

Un video pubblicato dal New York Timesil 19 maggio 2023 mostra dei migrantisull’isola di Lesbo, tra cuiun bambino di sei mesi, fatti scendere da un furgone e fatti salire suuna barca della guardia costiera greca da dove, in mare aperto, vengonospinti su un gommone di salvataggio efatti andare alla deriva. Salvati da una motovedetta turca sitrovano in un campo profughi a Smirne.

Vale anche per gli ufficiali greci coinvolti in questo crimine ilprincipio che impone che vengano giudicati solo in un giusto processo,ma i fatti sono così chiari ed aberranti che impongono subito delleriflessioni. In primo luogo si è trattato di un’operazione pianificata con metodo:dal prelevamento delle persone, al trasporto sulla barca, e al loroabbandono alla deriva sul gommone. Non c’è, in quanto accaduto, solo laviolazione del divieto di respingimento previsto dal dirittointernazionale. Per quanto grave sia la violazione di tale divieto, ilprofilo di illegalità che questi fatti fanno emergere è in realtàancora più grave: c’è infatti nella condotta attuata una violenzapremeditata verso persone che vengono poste in una condizione dirischio di morte. «Nonpensavamo di sopravvivere quel giorno», ha detto al NYT lasignora somala Naima Hassan Adensopravvissuta agli eventi. In queste parole non c’è nulla di enfatico odi emotivo ma c’è la semplice descrizione della realtà; le personefatte diventare naufraghe dalla polizia greca potevano nonsopravvivere. Chi ha agito nell’ambito delle sue funzioni pubblicheandrebbe dunque perseguito sul piano penale, insieme alla connessacatena di comando. Diversamente non c’è più stato di diritto in Grecia.

Tutto sembra far ritenere, dal modo in cui si sono svolte le diversefasi dell’operazione, alle risorse impiegate (l’uso della nave dellaguardia costiera greca e la calcolata “perdita” di un gommone) che ilgruppo di ufficiali dello stato greco non abbia agito in modo isolato,come cellula impazzita, ma che la loro azionesi collochi dentro un più ampio disegno. Ciò è confermato,d’altronde, dal fatto che non siamo affatto di fronte al primo episodiodel genere; appena il 9 gennaio di quest’anno la ONG Aegean Boat Reportaveva denunciato un episodio analogo nel quale 25 migranti, tra cui 17bambini, erano stati prelevati sull’isola di Lesbo, caricati su unanave in uso alla guardia costiera greca (equipaggiata anche daicantieri navali “Vittoria” di Adria, fornitrice, tramite l’Italia, dimezzi alla Libia come documentato dalle inchieste di Altreconomia) epoi lasciati andare alla deriva su una zattera di salvataggio. Sempresecondo Aegean Boat Report, si tratta di operazioni sistematiche che proseguono dadue anni a seguito delle quali oltre «25mila persone sono state respinteillegalmente nel Mar Egeo, 485 zattere di salvataggio trovate alladeriva con a bordo 8.400 persone».

Ma torniamo allo stesso New York Times, dunque non proprio al foglio diqualche piccolo gruppo di movimentisti, che quasi tre anni fa, il 15agosto 2020, pubblicava il primo scioccante rapporto in cui descrivevale medesime modalità di condotta attuali, in quel caso dall’isola diRodi, di trasporto e successivo abbandono in mare di almeno 1.072persone in 31 distinte operazioni. Come può tutto ciò continuare peranni nella più completa impunità? Dov’è la Commissione Europea che,interpellata dal New York Times sul video pubblicato dal quotidianostatunitense, si limita a vacue dichiarazioni?

Alziamo lo sguardo dalla Grecia sulla quale pesano, oltre airespingimenti in mare, altre accusedi efferate violenze condotte lungo le frontiere terrestri, eguardiamo cosa è accaduto in Polonianel 2021 dove, come ha ricordato la Commissaria per i dirittiumani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, è stata attuata «una pratica ripetuta e sistematica direspingimento di migranti e richiedenti asilo in Bielorussia […] chepotrebbe anche averli messi a rischio di tortura o di trattamentiinumani o degradanti per mano di agenti statali bielorussi, il che èincompatibile con l’articolo 3 della Convenzione europea dei dirittidell’uomo».

La proibizione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti èsancito, nella Convenzione, come obbligo assoluto, non derogabile maiin alcuna circostanza, neppure in stato di guerra (articolo 15). Noinon siamo neppure in guerra e già calpestiamo questo divieto assolutoper futili motivi. La strumentalizzazione dei rifugiati da parte delregime di Minsk è ignobile, ma ciò non autorizza la Polonia acommettere altri crimini. Se ipotizziamo che lo scopo del regimebielorusso possa essere stato proprio quello di cercare didestabilizzare la fragile democrazia polacca, esso, usando pochemigliaia di disperati disarmati, sembra esserci riuscito.

Guardiamo cosa accade, sempre alconfine con la Bielorussia, in Lituania, dove, secondo ilrapporto di Amnesty International del 2021 «migliaia di persone sono stateviolentemente respinte in Bielorussia, dove non hanno alcunapossibilità di cercare protezione». Il rapporto mette altresì inluce condizioni inumane didetenzione, in Lituania, abusi e violenze di ogni genere verso imigranti.

Guardiamo ora alla vicina Croazia, promossa nell’area Schengen dal 1°gennaio 2023, dove il Danish Refugee Council ha registrato tra gennaio2020 e dicembre 2022 quasi 30.000 respingimenti, di cui, nel 2022, il13% circa ha riguardato minori, sia non accompagnati che con famiglie,in maggioranza afgani. Nel recentissimo rapporto di Human Rights Watchnon a caso intitolato Trattati come animali. Respingimenti di personein cerca di protezione dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina (maggio2023) si evidenzia come «la poliziacroata respinge regolarmente e spesso con violenza rifugiati,richiedenti asilo e migranti verso la Bosnia-Erzegovina senza valutarele loro richieste di asilo o le loro esigenze di protezione».All’elenco di ulteriori violenze, che non posso citare per brevità eche coinvolgono gran parte dei paesi europei, va aggiunto ciò cheaccade lontano dai nostri miopi occhi, in altri paesi dove tramite laprassi della esternalizzazione dellefrontiere, viene attuata ogni forma di violenza immaginabileverso migranti e rifugiati. Violenzeattuate da stati terzi, ma che tuttavia agiscono con i fondi e i mezziforniti dall’Europa. Una forma di violenza delegata, dunque, dicui è maestra l’Italia con le sue operazioniin Libia e altrove.

Spero di sbagliarmi, ma ritengo che non siamo sufficientementeconsapevoli del gorgo oscuro nel quale siamo sprofondati e nel qualestiamo morendo, non per invasioni o allucinazioni di sostituzionietniche, ma per una sorta di ripudio di ciò che avevamo promesso a noistessi di voler diventare dopo decenni di guerre totali che ci avevanodistrutto, ovvero un luogo «dirispetto della libertà e di preminenza del diritto» (preambolodella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo edelle libertà fondamentali, Roma, 4 novembre 1950).

Alla deriva siamo noi, non i migranti.


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