Quattro Papi e un Concilio

di Raniero La Valle

Venerdì 2 maggio 2014
QuattroPapi e un Concilio
di Raniero La Valle
Venerdì 2 maggio 2014

La retorica dei “quattro papi”, due in cielo e due in piazza sanPietro, ha dominato la rappresentazione mediatica delle canonizzazionipapali del 27 marzo; ma non si potrebbe capire il significato profondodi tale evento se si restasse alla superficie della sua spettacolaritàe non si entrasse nel clima di estrema discrezione e intensità che papaFrancesco ancora una volta ha saputo creare nella piazza, e di cui èstata espressione la essenzialissima e scarna omelia da lui pronunciataal Vangelo.
Ciò ha fatto della canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni PaoloII non la celebrazione trionfale di due nuovi eroi della fede, portatiagli onori degli altari perché ne traesse più lustro la Chiesa, ma unatto fondativo di una Chiesa capace di entrare nella sofferenza delmondo e chiamata a rinnovarsi nel capo e nelle membra.
Papa Francesco ha individuato infatti nelle piaghe del Cristo, che sonoanche le piaghe del mondo, la matrice e il contesto di questaabbondante santità che è scaturita dal soglio pontificio; e haricondotto a un’unica origine sia la testimonianza di papa Giovanni,sia quella di papa Wojtyla che le è seguita, sia la travagliata storiadella Chiesa degli ultimi cinquant’anni, sia quel riunirsi a Roma di unmilione di persone per celebrare i due papi, sia il compito assegnatoal suo stesso pontificato: e quest’ unica origine è la docilità alloSpirito Santo in forza della quale Giovanni XXIII ha convocato ilConcilio.
Nel convocare il Concilio papa Giovanni non si è messo infatti allaguida della Chiesa come un pastore conduce il gregge ma, secondoFrancesco, “si è lasciato condurre”, ed è stato per la Chiesa “unaguida guidata, guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grandeservizio alla Chiesa; per questo – ha aggiunto Francesco – a me piacepensarlo come il papa della docilità allo Spirito Santo”. Quinaturalmente c’è l’elogio della virtù personale di Angelo Roncalli, mariguardo alla Chiesa questo vuol dire una cosa sola: che il Concilio èstato convocato dallo Spirito Santo, che il Concilio è stato, ed ancoraè, per quanto ne seguirà nella Chiesa, opera di Dio.
Questa affermazione è risuonata nella liturgia di piazza san Pietro,coinvolgendo quattro papi, due in cielo e due in terra, un milione difedeli e non fedeli lì presenti e l’intera Chiesa cattolica idealmentequella mattina unita a quella piazza. Ed è un’affermazione bruciante edirimente se si pensa che qualche scheggia di vecchia Chiesa scismaticaaveva definito il Concilio “la peggiore sciagura occorsa alla Chiesanei suoi duemila anni di storia”, e se si pensa che anche la Chiesafedele, anche la Chiesa costituita in autorità, si era fatta intimidireda quell’anatema, era stata titubante e incerta nella ricezione edattuazione del Concilio e infine l’aveva indebolito e snervatonegandolo come “evento” e infilandolo nel conflitto delleinterpretazioni, delle “ermeneutiche” di continuità o di rottura.
Ma perché lo Spirito Santo, servendosi della docilità di san GiovanniXXIII, ha voluto il Concilio? Per condannare qualche errore, perdirimere qualche disputa, per ribadire vecchie formule di scontatedottrine? No, questo lo aveva già escluso papa Giovanni nel suodiscorso di inaugurazione del Vaticano II l’11 ottobre 1962: per questonon c’era bisogno di un Concilio. Il compito era ben più impegnativo,aveva una portata epocale. Ciò che lo Spirito Santo voleva, chiedendola collaborazione dei papi era – ha detto papa Francesco –“ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomiaoriginaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso deisecoli”.
Ripristinare vuol dire che se ne era allontanata; e allora il Conciliodoveva riconoscere e correggere ciò che si era sbagliato; e appunto loha fatto: basti pensare alla ritrovata dottrina sulla libertà, allatesi lasciata cadere che non c’è salvezza fuori della Chiesa romanavisibile, al superamento dell’antropologia che faceva dell’uomo cadutoun reietto da Dio e di Dio un creatore che aveva revocato i suoi donioriginari. E aggiornare vuol dire rimuovere e riformare, liberarsidelle cose vecchie e fare le cose nuove; e appunto il Concilio haintrapreso a farle, a cominciare dalla liturgia e dalle sue lingue,dall’ecumenismo, dalla sinodalità, anche se ancora con primissimipassi.
Dunque con le canonizzazioni del 27 marzo la Chiesa è stata portata aricongiungersi direttamente alla Chiesa di papa Giovanni e delConcilio. E ciò non può che dare adito a nuove speranze non solo per laChiesa ma anche per l’umanità di domani.
Nell’aprire il Concilio papa Giovanni aveva spinto lo sguardo ancheoltre la Chiesa, e aveva detto che la Provvidenza ci stava conducendo aun nuovo ordine di rapporti umani, che per opera degli uomini e per lopiù al di là delle loro aspettative, si andava volgendo verso ilcompimento di disegni superiori e inattesi. Non si sa da dove papaGiovanni ricavasse questa visione così promettente del futuro, ma seanch’essa nasceva da un impulso dello Spirito, certo non potevatrattarsi di un ottimismo di maniera. Poi ce ne siamo dimenticati e ilmondo e la Chiesa sono caduti nella più profonda afflizione, e anzi siè andato affermando nella nostra cultura, così come nella politica enell’economia, un cupo pessimismo antropologico, come se non ci fosseniente da fare per risanare la storia. Ma se oggi si riprende quelcammino iniziato cinquant’anni fa, torna ad affacciarsi quella prognosio, se si vuole, quella profezia.
Papa Francesco si ricollega ad essa facendo un enorme investimento suDio e sull’uomo: su Dio in quanto tutto misericordia e perdono, esull’umanità in quanto viene chiamata a mettere in campo lastraordinaria risorsa che è stata finora inutilizzata e nascosta, ecioè la risorsa dei poveri.
È così che il privilegio dei poveri sale sul trono di Pietro, non peruna scelta politica del papa, ma per una scelta preferenziale che primadi tutti, come dice la “Evangelii Gaudium”, è fatta da Dio.
E se i poveri sono chiamati ad essere protagonisti di storia, allora lastoria può prendere un’altra strada.
È su questa scelta teologica ed antropologica che si innesta la novitàportata da papa Francesco che mentre da un lato rinnova l’annuncio difede, dall’altro chiama in causa le culture del mondo, le culturepopolari, e mette all’ordine del giorno un cambiamento del sistema deirapporti sociali. Egli ha avuto il coraggio di delegittimare l’interosistema economico mondiale definendolo come “un’economia che uccide” edenunciandolo come un sistema che esclude grandi masse di uomini e didonne trattandoli come avanzi e come scarti.
Se il cristianesimo non è un gingillo per anime pie una tale analisi eun tale impegno di cambiamento che fossero davvero fatti propri dallaChiesa non potrebbero che avere enormi conseguenze nella vita pubblica.Come ciò potrà essere tradotto in azioni politiche e storiche, comepotrà passare nella realtà concreta delle dinamiche umane, culturali epolitiche, non sappiamo. Non ve ne è un programma già tracciato. Maproprio questo è il compito delle generazioni che oggi si affaccianoalla vita, ed è il compito non solo dei cattolici o dei cristiani, madi tutti gli uomini. È solo dallo sforzo congiunto di tutti infatti chepotrà venire quel nuovo ordine di rapporti umani che il Concilio hapreconizzato e che natura e storia attendono gemendo nelle doglie delparto.

Raniero La Valle

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