"Un impegno a tutela della Terra"

Oltre 500 persone per la riflessione finale del Convegno

Lago di Cavazzo, domenica 2 ottobre
Oltre cinquecento persone attornoalle rive del lago di Cavazzo. Un segnale a difesa del bacino idrico,ma anche dell'acqua come bene comune, della terra e del creato.
Si è chiuso così il 19° convegno del Centro Balducci, dedicatoquest'anno al tema “Ragazzi, ragazze e donne del pianeta, protagonistidi un futuro umano”.
E' stato proprio il fondatore del centro, don Pierluigi Di Piazza aricordare, nel suo intervento introduttivo, il senso della giornata.“Assumendo l'impegno a salvaguardare la terra, l'aria, il sole, laluna, le stelle, le piante, l'acqua, le montagne, come beni comuni,come decisivi per la vita di ciascuna persona e di tutta l'umanità.Siamo qui – ha detto don Di Piazza – per assumere l'impegno a cambiareil paradigma culturale che vede l'uomo dominatore della terra. L'uomo èinvece parte di essa”.
Nel ricordare come alcuni paesi dell'America Latina, Ecuador e Bolivia,hanno riconosciuto nelle rispettive costituzioni il valore dell'acquacome bene comune, don Di Piazza ha ribadito la necessità di invertireuna tendenza che “vede l'uomo assoluto dominatore”. “Non si può faretutto ciò che il progresso tecnologico consente perché le conseguenzediventano disastrose, per le popolazioni che vengono cacciate, ma ancheper la la manomissione degli equilibri ambientali. La terra è di Dio equindi la terra è di tutti”.
Anche negli interventi degli esponenti dei diversi comitati (da quello“Referendario del Fvg 2 sì per l'acqua bene comune, fino a quello adifesa e sviluppo del Lago di Cavazzo e ancora l'Associazione Monasterodel Bene Comune di Sezano, il Comitato per la vita del Friuli rurale) èstata ribadita la necessità di “tutelare il territorio e l'acqua comebene comune, seguendo una logica basata sull'etica e non sul meroprofitto”.
Particolarmente significative, inoltre, le testimonianze di alcunidetenuti della casa circondariale di Udine. “Quasi sempre le nostrebravate finiscono tragicamente – ha raccontato uno di loro - e citroviamo increduli e spauriti in una cella anonima, ancora prima dellasentenza di condanna. Abituato alla libertà, al cielo intero, al solecaldo, alle piogge alla nebbia delle sere autunnali, ai pianti e aisorrisi delle persone accanto, all'improvviso tutto questo non c'è piùe mi sento precipitare in una cella piccola con le sbarre murate in unsilenzio irreale interrotto solo dai rumori metallici dei blindo e deicarrelli che attraversano i corridoi per dispensare un po' di cibo.Occupiamo celle affollate che gli altri chiamano camere, abbassiamo losguardo, la voce e ci apprestiamo a vivere una notte per chi vive fuorida qui vuol dire, a volte, sognare”.

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