Ciascuna e ciascuno di noi siamo la nostra storia è un intreccio di storie incontrate che ci hanno consegnato illuminazioni e oscurità, consolazioni e tribolazioni, amore, amicizia, intensità e disincanti, serenità e preoccupazioni, nascita, vita, malattia, sofferenza e morte; dedizione, fedeltà coerenza ed incoerenze; sincerità e falsità, fede autentica e religione conformista e altre dimensioni ancora. Con chi non è più fisicamente fra noi la relazione continua a cominciare proprio dal lascito interiore, profondamente esistenziale delle relazioni. L’orizzonte della fede c i sostiene nel continuare a vivere questi rapporti nel Mistero di Dio che tutto e tutti accoglie: chi ci ha preceduto, noi, tutti gli esseri viventi, l’intero creato. Ciascuna e ciascuno di noi, ciascuna famiglia, ogni comunità vive la memoria delle persone care con intensità e modalità proprie; nello stesso tempo può unirci una memoria comunitaria, proprio a partire dalla condizione umana che tutti ci accomuna nella vita e nella morte; può coinvolgerci la meditazione sul rapporto fra il vivere e il morire, sulla responsabilità riguardo alla vita per favorire un itinerario il più umano possibile per tutte le persone, per prevenire, per quanto sta in noi, le morti causate: dalla fame e dalla sete, dalla guerra e dagli incidenti sul lavoro per indicare alcune situazioni drammatiche. Meditare sul morire, sulla morte dovrebbe alimentare l’amore alla vita, la sapienza del cuore e del saper attribuire importanza alle dimensioni essenziali, a quelle che restano, che permangono, che lasciano un segno di umanità positiva e profonda; amore, amicizia, dedizione, giustizia, pace, misericordia, verità, sincerità, fedeltà e coerenza, fede e speranza. Il Vangelo delle Beatitudini che oggi meditiamo (Matteo 5, 1 -12) ci coinvolge nella sensibilità, nella prospettiva, nelle dimensioni che ci rendono veramente umani. Si tratta, per così dire, della pregnanza del Vangelo di Gesù, di un testo che può essere condiviso e sottoscritto da tutte le donne e gli uomini di buona volontà, anche se non si riferiscono in modo esplicito alla fede. Sono considerate beate, fortunate perché hanno scoperto il senso profondo della vita le persone umili che così hanno coscienza dei limiti e delle possibilità positive; che non sono pretenziose, supponenti, arroganti, che guardano gli altri con benevolenza, attenzione e premura, con amicizia e collaborazione. Le persone che riescono a riprendere coraggio, forza interiore e speranza nelle situazioni di difficoltà, tribolazione, dolore: con un percorso interiore di silenzio,, di lacrime, di affidamento al Signore, di confidenza in qualche persona amica presente in modo discreto e gratuito, di riscoperta di energie interiori sopite. Sono considerate ancora fortunate, positive, le persone che scelgono quotidianamente la non violenza attiva e si impegnano per la costruzione della pace. Queste donne e questi uomini sono considerati da Dio sue figlie e suoi figli. La pace come equilibrio interiore, come qualità delle relazioni liberate dall’inimicizia; la pace come denuncia della costruzione e del commercio delle armi, dell’irrazionalità della presenza e della costruzione delle basi militari, di ogni guerra che solo uccide, ferisce, distrugge e mai nulla risolve. La pace come dimensione spirituale, culturale, politica. Beate, fortunate sono considerate le persone che desiderano ardentemente quello che Dio vuole, cioè un’umanità giusta, fraterna, riconciliata, in pace. E ancora le persone che vivono la compassione, cioè l’accoglienza , l’ascolto, il prendersi a cuore, il prendersi cura, l’accompagnare. E ancora quelle che si liberano dalla ipocrisia e dalla doppiezza, che cercano la verità e la comunicano con trasparenza. Chi vive in modo profondo e permanente queste dimensioni incontrano durezze, contrapposizioni, isolamento, persecuzione: la fedeltà e la coerenza sono il segno più eloquente della profondità delle convinzioni e del radicamento delle scelte. In questa coerenza trova motivazione la perseveranza nelle prove fino ad andare incontro alla morte, non senza timore e tremore, come conferma la dedizione completa. Il martirio esprime in modo eloquente l’iniquità e la brutalità dei poteri oppressi a servizio dell’ingiustizia, del dominio e della non violenza e la luminosità e la forza dell’amore che portano a dare la vita perché la luce e la vita possano alimentarsi e diffondersi.