Ci sono persone che non sentono per una disfunzione dell’apparato uditorio; ce ne sono tante altre che non vogliono sentire e quindi rifiutano parole e messaggi, specie quando percepiscono che da essi potrebbero essere interpellati, chiamati ad una risposta. Ci sono persone che non possono parlare per una impossibilità fisiologica, mute fin dalla nascita o per cause successive; ce ne sono tante altre che non riescono, non possono, non vogliono parlare perché non hanno fiducia in se stesse, perché spesso sono state tacitate da una svalutazione preventiva del contenuto delle loro parole: “Taci! Cosa vuoi mai sapere tu? Non è abbastanza importante e ragionato il tuo dire!”. Eppure potrebbero dire molto e in profondità. Ci sono tanti silenzi indotti dalla paura di essere giudicati, di sbagliare, di disubbidire all’autorità, di esprimere comunque un pensiero difforme, autonomo, critico; questo avviene frequentemente anche nella chiesa e in genere in tutte le società. Ci sono persone che parlano e parlano e non dicono niente di essenziale, le parole non vengono dal profondo del cuore e dalla coscienza, sono pronunciate per tatticismo, compiacenza, esteriorità, adulazione. Ci sono persone sordo-mute che con il supporto di metodologie sperimentate e aggiornate cercano di uscire dall’isolamento e di comunicare la ricchezza umana di cui sono portatrici. A loro con tutta la sincerità e profondità di cuore la nostra vicinanza e l’impegno a garantire eguali diritti umani, non concessioni paternalistiche e assistenzialistiche. La sordità e l’impossibilità a comunicare, come si sa, sono profondamente intrecciate e interdipendenti. Ci sono stati esempi clamorosi, conferme dolorose quando si sono trovate persone incapaci di comunicare e anche di camminare perché costrette a incredibili e disumane condizioni di prigionia e isolamento. D’altra parte, tutte e tutti noi possiamo testimoniare momenti di chiusura, di desiderio di non ascoltare e di non comunicare, a seguito di incomprensioni, sconferme, dolori nell’anima. Situazioni ben diverse da quelle della solitudine e silenzio amici, scelti come necessari per nutrire l’animo, la sensibilità interiore, per moderare e purificare l’ascolto e la comunicazione più veri e autentici. In questo contesto di riflessione si può collocare il Vangelo di questa domenica (Marco 7, 31 – 37) nel quale si racconta dell’incontro di Gesù con un uomo sordomuto. Lo pregano di porre le mani su di lui, di stabilire quindi un contatto fisico e una comunicazione di vicinanza che rompe l’isolamento di quell’uomo e anche i pregiudizi, i giudizi, “le chiacchiere” che si fanno su di lui. Gesù lo prende e “lo porta in disparte lontano dalla folla”: una situazione nuova inizia con la discontinuità dai condizionamenti, dalle frasi fatte, dai luoghi comuni: quell’uomo ha bisogno di attenzioni, sguardi, gesti del tutto diversi da quelli a cui purtroppo è abituato. Gesù “gli mette le dita negli occhi” a confermare il contatto fisico che supera l’emarginazione; poi “sputa e gli tocca la lingua con la saliva” a comunicargli il fluido vitale della parola, la possibilità per lui di iniziare a comunicare i sentimenti, le dimensioni che vivono in lui. Poi Gesù “alza gli occhi al cielo, emette un sospiro e dice all’uomo: Apriti; le sue orecchie si aprono, la lingua si scioglie e si mette a parlare molto bene”. Gesù di Nazaret in mezzo alle persone, nelle diverse situazioni, a favorire possibilità nuove di umanità; il suo Vangelo oggi fra noi, in questa società a stimolarci, ad aprirci gli orecchi, ad ascoltare le grida e i gemiti di dolore; le parole dell’amicizia, dell’amore, della pace, della solidarietà; a vivere l’ascolto che coinvolge e diventa premessa indispensabile per parole che escono dal profondo ed esprimono la sapienza del cuore, lontane dalla superficialità, dalla banalità, dalla grossolanità dalla violenza.