Se tutte e tutti noi: bambini/e, ragazzi/e, giovani, donne e uomini di diverse età che oggi siamo presenti nelle chiese con il ramoscello d'ulivo in mano diventassimo veramente operatori di pace qualche cambiamento positivo sarebbe riscontrabile e diventerebbe segno di speranza per la Chiesa e per la società. Troppo spesso, invece, questa assunzione di responsabilità storica non avviene; il simbolo dell'ulivo si dà per scontato senza approfondirne i contenuti e le implicazioni e la realtà resta così come è. Emerge spesso come alibi la preoccupazione di non confondere i piani della fede e della politica perché chiamare per nome i luoghi e gli avvenimenti comporterebbe l'entrata della riflessione e della preghiera nella politica e si configurerebbe, di fatto, una posizione contraria quindi “contro” altre posizioni.In questa domenica delle palme o degli ulivi, si legge si medita su due momenti decisivi della vita di Gesù di Nazaret strettamente legati fra loro. Gesù entra a Gerusalemme affollata da migliaia di pellegrini per la festa della Pasqua. Come ci racconta il Vangelo (Marco 11,1-11) Gesù è entrato nella città sul dorso di un asinello. Questa nota non è una curiosità, ma invece un segno che conferma la sua vita e il suo insegnamento in parole ed opere: di giustizia, di attenzione e accoglienza alle persone, di superamento dell’inimicizia, della nonviolenza attiva, della prossimità, della condivisione. Gesù entra nella città per riconoscere la dignità di ogni persona; per dimostrare attenzione, ascoltare, insegnare, perdonare, incoraggiare, guarire; quindi per porsi al servizio. Non come coloro che entrano nelle città e attraversano i territori con i cavalli, con gli scudi, con le lance per conquistare, dominare, assoggettare, imporre vincoli e tassazioni. I cavalli usati dal potere, insieme a tutto l'equipaggiamento militare sono segno di violenza e di conquista, dominio; cavalcare gli asini è invece un segno umile di relazioni di accoglienza, di concreta solidarietà, quindi di nonviolenza attiva.Non si può "fare" una memoria frettolosa, tenendo in mano in modo scontato un ramoscello d'ulivo. Tutt'altro. E’ vivere con commozione l'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme come profeta di pace è vivere la memoria per diventare ed essere noi memoria, facendo tutto il possibile per riproporre dentro alle inimicizie, ai conflitti, all'aggressività, alle armi, alle guerre le parole, i gesti, la completa testimonianza di Gesù, il profeta della nonviolenza attiva, della costruzione quotidiana della pace, dell'accoglienza, dell'attenzione preferenziale alle persone più deboli, fragili, esposte, ai margini, affaticate. Tenere il ramoscello di ulivo in mano a portarlo per le strade e poi nelle case o in qualche edificio pubblico è una grande responsabilità; è assumere un compito; è denunciare la produzione e il commercio delle armi; ad esempio, l'acquisto di 90 cacciabombardieri F 35 a 120 milioni di euro ciascuno…; è pregare per il dono della pace: invocare luce, forza, coraggio per essere testimoni e costruttori di pace; è nominare i luoghi e i conflitti; le vittime e i carnefici, senza paura, anche nella Chiesa, di essere accusati di far politica; è denuncia, annuncio, coerenza, impegno.La pace annunciata e vissuta, cercata come "nuova umanità" viene contrastata da chi la confonde con la concezione dell'ordine costituito garantito dal dominio e della violenza, copertura di oppressione, ingiustizia, discriminazione. I giusti e gli operatori di pace vengono osteggiati e uccisi. Gesù rivela il Dio della pace; il suo amore incondizionato, manifestato nelle parole e nei gesti quotidiani diventa insopportabile per il sistema che decide di eliminarlo (Marco 15,33-41). Nell'angoscia nel Getsemani Gesù è attraversato dalla contraddizione estrema fra la sua proposta e la realtà che sta per realizzarsi: alla nonviolenza si risponde con la violenza; all'amore con l’avversione, alla verità con la menzogna. E insieme la paura della violenza terribile che incombe. Lo sconforto, la richiesta se sia proprio quella la strada, l’affidamento. L'arresto, il processo farsa, la tortura della flagellazione, la crocifissione per condividere la condizione di milioni di vittime della storia umana di ieri e di oggi. Gesù Crocifisso rivela in modo definitivo dove sta Dio: mai fra i potenti e prepotenti; fra gli oppressori e i violenti, mai fra i carnefici. Gesù si chiede avvicinandosi alla morte atroce della croce dove sia Dio, il Padre; se proprio lo abbia abbandonato... Un grido di angoscia, l'esigenza di un affidamento. È Gesù crocifisso che rivela l'amore incondizionato di Dio impotente nel mondo, ma coinvolto pienamente nella storia umana.