Più di qualche volta ci siamo chiesti in situazioni concrete: che cosa dobbiamo fare, che cosa possiamo fare? Di fronte alle grandi questioni della fame e della sete, delle violenze e delle guerre, del disprezzo e del rifiuto a tante persone, di disastri ambientali, ci siamo ancora chiesti o ci è stato richiesto: ma noi cosa possiamo fare? L’interrogativo esprime la consapevolezza di una situazione di bisogno, lo slancio etico di una risposta, il senso di inadeguatezza e di limite, il vissuto pericoloso dell’impotenza che più fa desistere. Le risposte alle necessità di diversa specie, qualità ed estensione può anche non esserci per indifferenza, chiusura ed egoismo; può esprimersi in modo volontario a livello personale o di gruppo immediato o maggiormente organizzato; e ancora, come è auspicabile che avvenga in modo molto più efficace e mirato di oggi, da parte delle istituzioni e della politica. In questo ambito di riflessione si può collocare il Vangelo di questa 3^ domenica di Avvento (Luca 3, 10-18). Di fronte alla forte provocazione di Giovanni il Battezzatore a cambiare mentalità, ad orientarsi a scelte e comportamenti caratterizzati da giustizia e verità, qualcuno fra la gente che accorre numerosa gli chiede appunto: “In fin dei conti che cosa possiamo fare?”. Alcune risposte di Giovanni toccano l’aspetto personale e strutturale della disponibilità e del cambiamento; altre indicano un contenimento di situazioni senza rimetterle in discussione dal profondo, quasi a dire che non approfittare di condizioni e compiti più che discutibili, di per sé sarebbe già un passo positivo. Queste le indicazioni di Giovanni: “ Chi possiede due abiti ne dia uno a chi non ne ha, e chi ha dei viveri li distribuisca fra gli altri”. Si tratta dell’esortazione immediata a condividere il cibo e i vestiti esprimendo così una concreta solidarietà a persone la cui necessità ci interpella. Non ci sono riferimenti alle cause strutturali che determinano nel mondo dell’abbondanza di una piccola parte, il consumismo e lo spreco, con lo sfruttamento di persone e risorse e dall’altra parte l’impoverimento della maggioranza, la condizione di vita precaria, estrema, a rischio di morte. La concreta, immediata doverosa solidarietà non dovrebbe mai diventare atteggiamento di sufficienza e quindi gesto pur importante, ma occasionale. L’informazione e la consapevolezza sulla questione nella sua interezza comporta insieme al gesto concreto l’impegno culturale e politico, vissuto con scelte personali e familiari di solidarietà. Alcuni agenti delle tasse – chiamati diffusamente pubblicani - vengono da Giovanni per chiedere il battesimo e anch’essi gli chiedono cosa devono fare. La risposta: “Non prendere niente di più di quanto è stabilito dalla legge”. La tassazione di per sé è un’ingiustizia perché nel sistema dell’occupazione dell’impero romano; la collaborazione ne è parte. La situazione di per sé è negativa. La risposta non entra nel merito perché in realtà riguarda la modalità della raccolta del denaro che favorisce ed arricchisce gli agenti delle tasse, in particolare i capi, come Zaccheo di cui il Vangelo ci parla: molto ricco proprio perché ha approfittato del ruolo ed ha rubato. Il rapporto con Gesù lo coinvolge poi a restituire e a condividere. Quindi un pubblicano che non utilizza il suo incarico in quella situazione esprime già un segno positivo dentro ad una situazione negativa. Radicale sarà l’orientamento di Gesù: non si può servire a Dio e al denaro; la scelta chiede chiarezza e coerenza. Anche alcuni soldati gli chiedono che cosa devono fare. La risposta: “Non portate via i soldi a nessuno, né con la violenza, né con false accuse, ma accontentatevi della vostra paga”: di non viene rimessa in questione l’inimicizia come radice della violenza, delle armi, degli eserciti come farà Gesù proclamando “beati i non violenti e i costruttori di pace figli e figlie di Dio”. È un’indicazione di contenimento. La diversità riguardo alla radicalità delle scelte viene espressa in modo chiaro da Giovanni stesso quando gli viene chiesto se è lui il Messia. Dice alla gente che lui non è degno neppure di allacciare i sandali a colui che verrà a battezzare non più con l’acqua ma con “lo Spirito Santo e il fuoco”, cioè con il coinvolgimento profondo dei cuori e delle coscienze. La sua presenza, le sue parole e i suoi gesti chiameranno a scegliere a “fare pulizia” per riconoscere la verità e l’essenzialità, come avviene nell’aia di un contadino quando si separa il grano dalla paglia. Noi tutti avvertiamo più che mai l’esigenza di chiarezza, di trasparenza, di giustizia, di verità, di essenzialità.