Riflettere sull’amore a partire dalle esperienze esistenziali, eloquenti nelle loro dimensioni positive e in quelle negative, significa entrare nella perlustrazione della situazione della vita più indispensabile, profonda, delicata; per questo fonte di gioie e serenità uniche e di sofferenze molto dolorose; per questi motivi condizione esistenziale forte, per cui a ragione si dice “la forza dell’amore” e nello stesso tempo fragile, quindi sempre da nutrire, da curare, da arricchire, mai da considerare acquisita e scontata. L’amore di per sé si esprime nella diversità delle relazioni umane: fra uomo e donna; genitori e figli; persone dello stesso sesso; disponibilità agli altri, al bene comune con l’amore come espressione di umanità anche nelle professioni esercitate: pensiamo, ad esempio, a chi è insegnante, medico, infermiere; la politica stessa dovrebbe essere motivata e attraversata dall’amore della dedizione. Le comunità di fede, per quanto ci riguarda quelle cristiane, dovrebbero essere un ambito umano nel quale ci si educa all’amore autentico. Nella reciprocità della comunicazione, del dare e ricevere, ci sono aspetti da migliorare, egoismi da superare, durezze e incomunicabilità da sciogliere; aggressività da trasformare in delicatezza e tenerezza. E’ ardua la dimensione dell’amore incondizionato, del dare senza attese, unicamente per la forza intrinseca dell’amore; più arduo ancora se questa disponibilità intenderebbe rispondere ad una situazione difficile di torto,di offesa, di sconferma, di infedeltà; se in questa prospettiva si pone al di fuori, oltre ogni criterio, ogni valutazione, ogni regola riconosciuti. La parabola del padre che accoglie il figlio in modo così commovente come nel Vangelo di questa domenica (Luca 15,1-3. 11-32), ci racconta e fa percepire l’amore incondizionato di Dio. Gesù racconta questa parabola per rispondere alle critiche che gli rivolgono i maestri della legge e i farisei perché gli agenti delle tasse e altre persone di cattiva reputazione si avvicinano a lui per ascoltarlo. In una famiglia avviene “qualcosa” di molto grave: il figlio minore rompe i rapporti e la solidarietà familiare,ne umilia anche la reputazione pubblica; considera suo padre come morto quando esige da lui la parte di eredità che gli spetta. E’ in preda ad una logica individualista, ad una pratica della libertà come risposta a bisogni istintivi per cui denaro, situazioni, cose, persone diventano strumenti per sé: “Pochi giorni dopo, il figlio più giovane vendette tutti i suoi beni e con i soldi ricavati se ne andò in un paese lontano. Là, si abbandonò a una vita disordinata e così spese tutti i suoi soldi”. Senza riferimenti, senza relazioni umane significative, senza più nulla per poter sopravvivere, si trova a fare il guardiano dei maiali e vorrebbe sfamarsi con le ghiande che si danno a questi animali considerati impuri, ma nessuno gliene da. In quella condizione terribile si mette a riflettere e decide di tornare a casa, di ammettere il suo errore, chiedendo di poter lavorare e di essere trattato come uno dei dipendenti dell’azienda agricola familiare. E’una decisione interessata, non preoccupata di ristabilire una relazione personale con il padre. Questi ha sofferto lo strappo e la lontananza del figlio; ha pensato a lui continuamente; per questo ora “quando lo vede, commosso, gli corre incontro. Lo abbraccia, lo bacia”. Non ascolta nemmeno le parole del figlio; continua ad esprimergli questi gesti paterni e materni insieme: di accoglienza, di perdono, di protezione; per lui si dispone la veste migliore come segno di dignità; l’anello al dito che gli conferisce di nuovo pienamente il titolo di figlio; i calzari ai piedi segno dell’uomo libero; un banchetto per tutto il villaggio con musiche e danze. Così si comporta Dio, così Gesù che ne esprime la presenza nella storia. Questo padre si esprime con eguale tenerezza al figlio maggiore che non capisce, non condivide questa accoglienza: lui ha fatto sempre il suo dovere in casa, ma vive con un cuore indisponibile all’accoglienza. La mancanza di amore segna in profondità e può spesso manifestarsi con aggressività e violenza nei confronti di se e degli altri. L’adulto oggi violento con i figli spesso ha subito violenza. L’amore espresso in vicinanza, ascolto, premura, fiducia, cura può guarire, senza assolutismi, facili previsioni che coprono l’ambivalenza umana. Pensiamo alle relazioni umane più prossime e intime; ai rapporti nella società e nella Chiesa. Consideriamo ad esempio la condizione dei detenuti, la pena come rieducazione, non fine a se stessa, umanamente peggiorativa. Dalla scelta personale e delicata del perdono alle situazioni sociali come quella del carcere. Il volto e gli atteggiamenti di questo padre possono ispirare a tutti dimensioni umane e profonde.