DOMENICA 14 SETTEMBRE 2008 Vangelo di Giovanni 3, 13-17

Vangelo di Giovanni

14/09/2008

DOMENICA 14 SETTEMBRE 2008


L’ULTIMA PAROLA NON È QUELLA DELLA MORTE, BENSI’ QUELLA DELLE ESPERIENZE DELLA VITA


 Vangelo Giovanni 3, 13-17


Nessuno è mai stato in cielo: soltanto il Figlio dell’uomo. Egli infatti è venuto dal cielo Mosè nel deserto alzò il serpente di bronzo su un palo. Così dovrà essere innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio dell’uomo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.


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La storia ci consegna tante, davvero tante situazioni in cui persone, comunità, popoli interi sono stati e sono uccisi dall’ingiustizia, dalla fame, dalla sete, dalla mancanza di assistenza sanitaria, da varie forme di violenza e di terrorismo, dalle guerre. Le violenze che esseri umani – disumani in queste situazioni – compiono su altri esseri umani possono essere completamente subite in modo sorprendente e brutale, anche se dentro ad una condizione strutturale di violenza; oppure possono essere egualmente subite con conseguenze mortali e nello stesso tempo scelte, non senza timore e tremore; si può cioè andare incontro ad esse con la crescente consapevolezza del loro incombere e con la resistenza e la perseveranza nutrite dalla profondità delle convinzioni, all’ampiezza della dedizione, all’amore concreto agli altri con riferimento o non riferimento a Dio, a Gesù di Nazaret, al suo Vangelo. In altre parole ci sono innumerevoli donne e uomini, anche comunità intere martiri perché, pur consapevoli della gravità della situazione, delle crescenti minacce, sempre più incombenti, hanno proseguito il loro cammino. Per tanti di loro il riferimento e l’esemplarità di Gesù sono stati molto importanti e anche quelli a persone coerenti, proprio fino a dare la loro vita. Il Vangelo di questa domenica (Giovanni 3, 13-17) nella quale si è chiamati a riflettere sulla croce come strumento di supplizio e di morte e sul Crocifisso che vi è stato inchiodato, ci parla proprio dell’innalzamento sulla croce del Figlio dell’uomo, di Gesù: “Mosè nel deserto alzò il serpente di bronzo su un palo. Così dovrà essere innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio dell’uomo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Il riferimento alla memoria storica fa ricordare l’interpretazione da parte di Mosè e da parte del nucleo fedele della comunità, della morte di tante persone a causa del morso dei serpenti del deserto. Questo era successo, secondo loro, a motivo della loro protesta nei confronti di Dio e di Mosè responsabili principali della loro marcia di liberazione dalla schiavitù dell’Egitto alla terra della libertà. Il serpente di bronzo issato su un palo diventava monito e invito alla riflessione, a rimotivare il senso del loro camminare con fiducia e affidamento. E come il serpente di bronzo, così Gesù di Nazaret sarà innalzato sulla croce, perché guardandolo con partecipazione e commozione si possa riscoprire il senso profondo di una vita donata come contributo significativo a rendere più umano questo mondo. La meditazione sul Crocifisso ci rivela in modo definitivo chi è Dio e dove si colloca: dalla parte delle vittime, di chi subisce oltraggio, tortura e violenza fino alla morte perché fedele all’amore; e così immette nella storia un dinamismo nuovo: quello della vita, della non violenza attiva, della giustizia, dell’accoglienza, della verità, della coerenza; la vita di un Dio che si fa totalmente uomo, partecipa pienamente alla nostra umanità. Per questo la sua vita non può terminare in un sepolcro; per questo l’ultima parola non è quella della violenza, bensì della non violenza; non è quella dell’ingiustizia, bensì quella della giustizia e della condivisione ; non è quella del rifiuto dell’altro, bensì dell’accoglienza, dell’ascolto, dell’accompagnamento; non è quella della menzogna, bensì della purezza di spirito, della trasparenza; non quella della superficialità, dell’apparenza, del vantaggio individuale, bensì quella della rettitudine e della coerenza anche a caro prezzo. La croce è stata uno dei tanti strumenti del potere politico, militare e religioso: tanti, purtroppo gli altri: i roghi, le torture mortali, la camera a gas, il rapimento e l’uccisione nascosta delle persone; la sedia elettrica, l’iniezione letale, l’impiccagione, la fame, la sete; le pallottole, le mutilazioni e altro di terribile ancora. Il grido delle vittime innocenti e inconsapevoli dovrebbe arrivarci dentro il cuore e la coscienza e scuoterci per fare tutto il possibile per prevenire tanto orrore. L’esemplarità delle testimonianze di chi consapevolmente è andato incontro alla morte dovrebbe giorno dopo giorno incoraggiarci e sostenerci nell’affrontare le inevitabili difficoltà, incomprensioni, durezze, rifiuti, isolamento. Senza ritenersi né eroi, né vittime la possibilità di attingere al patrimonio dell’esemplarità di tante donne e di tanti uomini profeti e martiri può davvero essere un nutrimento dell’anima e dell’intelligenza fondamentali.

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