Più volte nella storia del cristianesimo si è discusso e anche oggi si discute sul rapporto tra fede e opere; fra possibili e facili fughe spiritualiste e una incarnazione nella storia considerata eccessiva, giudicata impegno sociale politico, in cui non trasparirebbe la dimensione spirituale. Dalla lettura e dalla meditazione del Vangelo di questa domenica (Matteo 25,31-46) pare comunque di capire un sostegno molto evidente alla disponibilità e all’impegno concreto nei confronti delle persone che vivono una condizione di necessità, di dolore, di marginalità. Ancor di più, una identificazione fra loro e Gesù di Nazaret. Si tratta di una provocazione sorprendente, inquietante; di una esigenza radicale; il giudizio sulla fede e quindi sulla qualità umana della nostra vita è dato da questa disponibilità o non disponibilità concreta, quotidiana. Si descrive il giudizio finale che di fatto riguarda ogni giorno, anzi ogni nostra azione. Vengono a cadere tutte le prevenzioni, le riserve ideologiche e religiose; trovano ridimensionamento i dibattiti pur importanti sul credere o non credere.La verifica della fede non è l’ortodossia; paradossalmente neanche l’appartenenza alla Chiesa, né la partecipazione all’Eucarestia, ma invece sono i gesti concreti di solidarietà attiva negli incontri con le persone bisognose, indigenti, sofferenti, emarginate.L’incontro con il Signore avviene nel vivere la compassione nel prendersi a cuore, nel prendersi cura concretamente delle loro storie. Queste sono appartenenti a tutta l’umanità, come lo è la disponibilità: il superamento delle divisioni a motivo delle differenze etniche e religiose è un’esigenza indiscutibile e definitiva. Il Vangelo non indica atti eroici e straordinari, ma scelte e gesti espressi nella quotidianità. Possono essere solo personali e anche comunitari; immediati e diretti nella relazione e anche programmati e organizzati, sempre però animati dallo spirito.“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare”: si tratta della risposta concreta a chi ha fame qui nella nostra società e soprattutto in tanti luoghi del Pianeta; Gesù è uno del miliardo e trecento milioni di impoveriti e affamati; esige l’impegno di denuncia e di proposta, di sobrietà e condivisione, personale e comunitaria; sociale, istituzionale e politico.“Ho avuto sete e mi avete dato da bere”: questa identificazione con chi è senz’acqua, con chi deve ricorrere ad acque non potabili induce a considerare l’elemento acqua: materiale, culturale e spirituale insieme; ad impegnarsi perché l’acqua non sia mai considerata merce, non venga privatizzata e neanche la sua gestione.“Ero forestiero e mi avete ospitato nella vostra casa”: nell’immigrato che chiede accoglienza umana; lavoro, casa, scuola, dignità, si dovrebbe scorgere il volto di Gesù che passa, si rivolge a noi persone, società, comunità cristiane. E’ veramente incomprensibile, alla luce del Vangelo, la religione etnicizzata che legittima xenofobia e razzismo. Di fatto chi propugna questa sedicente religione priva completamente di fede e di riferimento evangelico non nomina mai Gesù di Nazaret, meno ancora ridice questo passaggio così fondamentale dell’insegnamento di Gesù“Ero nudo e mi avete dato i vestiti”: Gesù si identifica con chi non può indossare i vestiti e quindi non può presentarsi in modo dignitoso, ma anche con chi è spogliato dei suoi diritti umani fondamentali, della sua dignità. Dare i vestiti, riaffermare la dignità significa incontrare il Signore.“Ero malato e siete venuti a trovarmi”: si tratta dell’atteggiamento di attenzione, premura, cura, vicinanza, accompagnamento al sofferente nel corpo, nella psiche, nell’animo; sensibilità e decisioni riguardano la relazione personale di vicinanza e nello stesso tempo la qualità professionale e umana delle risposte culturali, etiche, istituzioni e politiche adeguate.“Ero in prigione e siete venuti a trovarmi”: Gesù è ciascuno/a dei detenuti nelle attuali condizioni disumane; incontrarlo significa attenzione a questa questione drammatica; cultura e sensibilità nuove; impegno a favorire comprensione della situazione; disponibilità a scelte che possono comprendere la visita a qualcuno in carcere; e, come comunità, orientarsi a qualche esperienza alternativa di affido per scontare la pena in modo umano. “In verità, vi dico: tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei più piccoli, di questi miei fratelli, lo avete fatto a me”.