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DOMENICA 22 GIUGNO 2008 Vangelo di Matteo 10, 26-33
Vangelo di Matteo
22/06/2008
DOMENICA 22 GIUGNO 2008
PER NON PERDERE LA NOSTRA ANIMA
Vangelo Matteo 10, 26-33
«Dunque , non abbiate paura degli uomini. Tutto ciò che è nascosto sarà messo in luce, tutto ciò che è segreto sarà conosciuto. Quello che io vi dico nel buio, voi ripetetelo alla luce del giorno; quello che ascoltate sottovoce, gridatelo dai tetti. Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima. Temete piuttosto Dio che può mandare in rovina sia il corpo che l’anima, all’inferno. Due passeri valgono un soldo: eppure nessun passero cade a terra se Dio, vostro Padre, non vuole. Quanto a voi, Dio conosce anche il numero dei vostri capelli. Perciò non abbiate paura, perché voi valete più di molti passeri!». «Tutti quelli che dichiareranno pubblicamente di essere miei discepoli, anch’io dichiarerò che sono miei, davanti al Padre mio che è in cielo. Ma tutti quelli che pubblicamente diranno di non essere miei discepoli, anch’io dirò che non sono miei, davanti al Padre mio che è in cielo.».
*****
Il nostro equilibrio interiore è costantemente la situazione più delicata, quella che ci chiede attenzione, premura e cura; si tratta di un’arte da imparare ogni giorno: possibili chiusure, spinte all’aggressività, sogni e dolori, pulsioni e disincanti difficili da accettare e far evolvere in modo positivo; slanci ideali e disponibilità gratuite, sconferme e delusioni da riequilibrare; i diversi io, “gli altri” che ci abitano con le loro diversità possono crearci quelle dialettiche e tensioni che ci chiedono la capacità di “tenere in mano” la bussola, la guida della nostra vicenda umana. Può accadere che le nostre parole e i nostri comportamenti siano suggeriti dalla preoccupazione del giudizio critico o dall’attesa del riconoscimento e dell’approvazione degli altri, così si può entrare in una differenza, anche in una sorta di dissociazione fra interiorità ed esteriorità, determinata appunto dalla preoccupazione che l’ambiente della famiglia, degli amici, del lavoro, dell’associazione a cui si appartiene, della Chiesa di cui si fa parte ci accetti, anche se questo comporta la rinuncia alle dimensioni personali più profonde e più autentiche. Ci sono situazioni in cui vivere idealità, fede, coinvolgimenti, dichiarazioni, coerenza di vita comporta di per sé contraddizione, critica, opposizione, minacce, anche di morte. Il Vangelo di questa domenica (Matteo 10, 26-33) esorta a “non avere paura degli uomini” perché, anche se, a poco a poco, la verità esistenziale e storica si fa strada: “Tutto ciò che è nascosto sarà messo in luce, tutto ciò che è segreto sarà conosciuto”; anche con il proprio impegno e contributo: “Quel che io vi dico nel buio, voi ripetetelo alla luce del giorno; quel che ascoltate sottovoce, gridatelo dai tetti.” Il Vangelo incoraggia ad una fiducia che si alimenta nell’affidamento al Signore e nella verità ed autenticità della scelta stessa che si vive: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima”. Si tratta del le dimensioni fondamentali, quelle che contano, quelle che assumono un valore e un significato permanenti e universali: l’amore, l’amicizia la passione per l’umanità, lo sdegno per le ingiustizie e le violenze, l’impegno per la giustizia, l’accoglienza, la pace, la concreta solidarietà. Scegliere e vivere queste dimensioni fondamentali mette in relazione diretta con Dio e con gli altri, nelle concrete situazioni e storie delle persone e comunità. Con due esempi molto semplici e diretti, il primo collocato in quel contesto ambientale, il Vangelo esorta a questo affidamento al Signore da cui può venirci luce, forza, coraggio per una testimonianza coerente, pur in mezzo ad ostacoli e prove: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nessun passero cade a terra se Dio, vostro Padre, non vuole. Quanto a voi, Dio conosce anche il numero dei vostri capelli. Perciò non abbiate paura: voi valete più di molti passeri!”. Non si tratta di un provvidenzionalismo fideistico, bensì di quell’affidamento profondo che nutre l’impegno nella storia. Un giorno sulle Ande Colombiane, nella celebrazione del primo anniversario di un giovane sindaco assassinato, ho ascoltato una voce che ripeteva nel silenzio generale: “ Ci sono morti più vivi dei vivi, e il più vivo cioè, anche se fisicamente morto, è colui che ha dato la vita per gli altri; più vivo di chi, fisicamente prestante, costruisce morte, perché diffonde ingiustizia, corruzione, violenza, oppressione. Il vescovo martire mons. Romero, ucciso il 24 maggio 1980, che ancora una volta ricordiamo per vivere in lui la memoria di tutte le donne e le comunità, di tutti gli uomini martiri, così diceva: “Sono stato frequentemente minacciato di morte. Come cristiano non credo alla morte senza risurrezione: se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno. Come pastore, per mandato divino sono obbligato a dare la vita per coloro che amo, cioè tutti i salvadoregni, anche quelli che mi uccidessero”. E così il vescovo martire nero mons. Christophe Munzihirwa ucciso in Congo insieme a tante persone il 29 ottobre 1996: “Ci sono cose che non si vedono bene se non con gli occhi che hanno pianto”; uomo e vescovo esemplare, a totale servizio, coerente e fedele, fino a rifiutare pochi giorni prima di essere ucciso di mettersi in fuga in un luogo più sicuro. “Cristiani, anche se non possiamo impedire le violenze, dobbiamo sempre disapprovarle; dire un no assoluto e così dire un no altrettanto assoluto alle ipocrisie… Accogliamo tutti i rifugiati, senza discriminazione alcuna.” Verità e povertà: due sole camice e due pantaloni che lui stesso lavava e metteva ad asciugare. Il coraggio della verità e la fedeltà nella coerenza: così la persona vive, anche se il corpo viene ucciso.
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