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DOMENICA 22 MARZO 2015 Vangelo Giovanni 12,20-33
Vangelo di Giovanni
22/03/2015
DOMENICA 22 MARZO 2015
Con monsignor Romero Dio è passato in Salvador
Vangelo Giovanni 12,20-33
Fra quelli che erano andati a Gerusalemme per la festa c’erano alcuni greci. Essi si avvicinarono a Filippo (che era di Betsadia, città della Galilea) e gli dissero: “Signore, vogliamo conoscere Gesù”. Filippo lo disse ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: “L’ora è venuta. Il Figlio dell’uomo sta per essere innalzato alla gloria. Se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non porta frutto. Se muore, invece, porta molto frutto. Ve lo assicuro. Chi ama la propria vita la perderà. Chi è pronto a perdere la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io ci saranno anche quelli che mi servono. E chi serve me sarà onorato dal Padre.” Gesù disse ancora: “Sono profondamente turbato. Che devo fare? Dire al Padre: fammi evitare questa prova? Ma è proprio per quest’ora che sono venuto. Padre, glorifica il tuo nome”. Allora una voce disse dal cielo: “L’ho glorificato, e lo glorificherò ancora”. La gente sentì e alcuni dissero: “E’ un tuono”. Altri dicevano: “No, è un angelo che gli ha parlato”. Gesù rispose: “Quella voce non era per me, ma per voi”.
Sono trascorsi 35 anni da quel lunedì 24 marzo 1980 quando alle 18.26 a San Salvador il vescovo Romero è stato colpito al cuore proprio mentre offriva il pane e il vino dell’Eucarestia che stava celebrando con un gruppo di persone nella cappella dell’hospitalito, un ospedale che accoglieva una sessantina di ammalati di tumore e dove lui dormiva in una abitazione di una modestia e di una essenzialità disarmanti. Ha appena pronunciato queste parole: “Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli uomini ci spinga a dare anche il nostro corpo e il nostro sangue alla sofferenza e al dolore come Cristo; non per noi stessi, ma per dare al nostro popolo idee di giustizia e di pace.”
Nominato arcivescovo di San Salvador per le posizioni moderate e diplomatiche, poco a poco ha scoperto la realtà drammatica del Paese: l’oligarchia ricca e dominatrice con il supporto delle forze armate, della polizia, degli squadroni della morte che sequestravano e uccidevano; la reazione popolare armata; una drammatica guerra nella realtà del Salvador che provocò ottantamila morti. “Il popolo mi ha convertito al Vangelo”, dirà monsignor Romero.
Si immerge in quella drammatica situazione di povertà, di ingiustizia e di violenza, di sparizioni e di uccisioni; diventa voce dei senza voce; denuncia le atrocità e i loro responsabili, infonde fiducia e speranza in nome del Dio di Gesù di Nazaret e del suo Vangelo, vive in mezzo al popolo.
Per questo viene ucciso, nella illusione di spegnere la voce della profezia.
Il giorno precedente, domenica 23 marzo, aveva detto nell’affollatissima Eucarestia: “Desidero fare un appello speciale agli uomini dell’esercito e in concreto alla base della guardia nazionale, della polizia, delle caserme: Fratelli, siete del nostro stesso popolo. Ammazzate i vostri fratelli campesinos! Davanti all’ordine di ammazzare dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: “Non ammazzate. Nessun soldato è tenuto ad obbedire ad un ordine che va contro la legge di Dio[…]. E’ Tempo che recuperiate la vostra coscienza[…]. In nome di Dio allora, in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi chiedo, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione!”
Era frequentemente minacciato di morte: “Come cristiano non credo alla morte senza risurrezione: se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno…se le minacce dovessero compiersi già da adesso offro a Dio il mio sangue per la redenzione e la risurrezione del Salvador. Il martirio è una grazia di Dio che credo di non meritare.”
Una storia di morte e di vita luminosa che attua il Vangelo di questa domenica (Giovanni 12, 20-33), quando, alla richiesta di alcuni di conoscerlo Gesù risponde indicando la sua vita donata e la prossima morte, l’ora che sta per arrivare. “Se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non porta frutto. Se muore invece porta molto frutto.”
Padre Ignacio Ellecurrìa, rettore dell’università dei Gesuiti di San Salvador ucciso nel novembre 1986 con altri cinque confratelli con una donna e sua figlia per il coinvolgimento nei processi di giustizia e di pace del popolo ha affermato: “Con monsignor Romero, Dio è passato in Salvador”. Una vita coinvolta con i poveri, con le vittime per un cammino di giustizia e di pace guidato dal Dio della liberazione e della vita.
FOGLIO DOMENICA 22 MARZO 2015.pdf
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