Le vicende umane non procedono in modo lineare, ma coinvolte nella complessità: vita e morte; situazioni serene e dolorose, interrogativi e speranze ci provocano sul senso ultimo del nostro vivere, amare, essere amici, dedicarsi, soffrire e morire, perché possano avvenire nel modo più umano possibile…E questi interrogativi contengono e rilanciano quello ancor più delicato, impellente, concreto e misterioso insieme, sul passaggio della morte e sul dopo la morte fisica: fine di tutto; solo ricordo nelle persone, in qualcuna in particolare o continuazione della vita, accolta e valorizzata dalla Presenza amorevole di Dio?Ecco, in questa complessità si collocano in modo profondo e illuminante l’insegnamento del Vangelo di questa domenica(Matteo 2,34-40), così conosciuto e ripetuto da attenuarne spesso la provocazione e il coinvolgimento. Nella Palestina di Gesù impera un sistema legalistico diffuso che impone l’osservanza scrupolosa anche di leggi minime riferite ad aspetti particolari della vita personale e comunitaria, come, ad esempio, le abluzioni prima di mangiare.Un fariseo, maestro della legge, quindi suo fine conoscitore, pone a Gesù una domanda per metterlo alla prova: “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”. Gesù risponde: “Ama il signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il comandamento più grande e più importante. Il secondo è ugualmente importante: ama il prossimo tuo come te stesso. Tutta la legge di Mosè e tutto l’insegnamento dei profeti dipendono da questi due comandamenti ”». La dimensione più importante è quindi l’atteggiamento verso Dio; non si tratta di uno sforzo di adesione volontaristica, bensì del coinvolgimento profondo di tutto l’essere che dalla relazione con Dio riceve idealità, prospettiva, sensibilità, orientamento, forza interiore, sollecitazione a scegliere e decidere, disponibilità a dedicarsi per contribuire all’umanità che Dio vuole: un’umanità di giustizia, di uguaglianza, di pace, di fratellanza.L’amore a Dio è la fede che raccoglie in modo pregnante ricerca e fiducia, interrogativo e dubbio; dibattito e affidamento; e sempre e di nuovo speranza. Si tratta di una dimensione profondamente spirituale e, proprio per questo anima, spirito della realtà, luce, forza, sostegno nella risposta alle grandi questioni della vita e della storia.Per questo il “comandamento” dell’amore a Dio come primo e più importante è intimamente legato al secondo, “ugualmente importante” dell’amore al prossimo, cioè della concreta disponibilità mossa della compassione, del prendersi a cuore, del prendersi cura dell’altro, della sua umanità, come insegna in modo inequivocabile la parabola del samaritano, di quell’uomo straniero che, a differenza del sacerdote e del levita del tempio di Gerusalemme che passano oltre, si ferma a soccorrere quell’uomo sconosciuto, derubato, colpito, gemente sul ciglio della strada. Non c’è nessun motivo estrinseco, nessuna legge che lo induce a questa attenzione; è solo la compassione, è il patire con lui, l’immedesimarsi nella sua situazione. Da questo vissuto deriva la strategia dell’attenzione nei suoi confronti. L’amore a Dio non deve diventare uno spiritualismo di fuga dalla realtà; se è autentico, coinvolge inevitabilmente nella concreta disponibilità al prossimo. L’amore al prossimo, alle volte, può sembrare non direttamente ispirato a Dio; ma quando è autentico, disinteressato, gratuito, di fatto Dio è presente, anche se non lo si nomina, come avviene nella parabola del samaritano. Nell’indicazione evangelica c’è attenzione all’amore a se stessi; rifuggendo da ogni egocentrismo e narcisismo è la cura di sé, la stima, l’attenzione e la considerazione della propria persona, della propria vita. Si può cambiare la successione, ma noi gli altri e Dio siamo inscindibilmente uniti.