Il rapporto fra fede, storia e trascendenza è una questione sempre aperta; il riferimento a quale Dio ci si riferisce anche. Di Cristo poi si parla poco attualmente, anche nelle chiese e comunque, quando avviene, con differenze notevoli; già dire “Cristo” senza percepire in profondità il significato teologico conduce a quell’astrattezza religiosa lontana dalle storie umane; dire Gesù di Nazaret pare risuoni come un aiuto all’incarnazione nella storia; anche considerare Cristo come “il Signore” può portare ad una associazione, ad una collocazione in alto, per esercitare un potere, distogliendolo dal basso, tra la gente, fra cui ha scelto di vivere, non per essere servito, ma per servire fino a donare la propria vita per la liberazione dell’umanità. Possiamo incontrare Gesù di Nazaret dove lui dice di trovarsi, andando in questo luogo, abitandolo. E qual è? È fra le persone, a partire da quelle che fanno più fatica a vivere, che sono impoverite, affamate, colpite, vittime, sofferenti per diverse condizioni. Le considerazioni su alcune vicende potranno anche essere diverse, ma mai riferendosi alla fede e riflettendo su di essa si potrà essere meno attenti alla oppressione, allo sfruttamento, alla violenza sui poveri fino alla morte, più realisticamente alla loro uccisione quotidiana.
Gesù si trova a Nazaret (Vangelo Luca 1, 1-4. 4, 14 -21), il villaggio in cui è cresciuto. È sabato, il giorno del riposo. «Come al solito entra nella Sinagoga. Gli danno il libro (rotolo) del profeta Isaia. Lui, aprendolo trova questa profezia: Il Signore ha mandato il suo spirito su di me. Egli mi ha scelto per portare il lieto messaggio ai poveri. Mi ha mandato per proclamare la liberazione ai prigionieri e il dono della vista ai ciechi, per liberare gli oppressi, per annunciare il tempo nel quale il Signore sarà favorevole. Quando finisce di leggere Gesù chiude il libro, lo restituisce all’inserviente e si siede. La gente nella Sinagoga tiene gli occhi fissi su di lui. Allora egli comincia a dire: “Oggi si avvera per voi che mi ascoltate questa profezia”. ». Quindi Gesù sente di essere inviato, di essere presente nella storia come liberatore dal male, nelle sue diverse forme. Subito si inizieranno i distinguo rispetto a quale liberazione: se interiore, del cuore, dell’anima o sociale e politica; ma queste precisazioni sono proprie di chi può permettersele: in realtà sono i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi coloro che dovrebbero parlare a partire dalle loro concrete situazioni; e noi dovremmo ascoltarli, proprio come ha fatto Gesù di Nazaret, cercando di rispondere alle loro esigenze. In mezzo ai poveri lui porta una presenza, parole, gesti, concreta solidarietà che comunicano loro fiducia, forza, coraggio per esperienze concrete di liberazione. Come allora, così oggi, in mezzo a noi tutti che spesso illusoriamente e presuntuosamente ci sentiamo liberi, Gesù indica il percorso di una libertà di spirito, di coscienza, di parole, di decisioni, piena di responsabilità ed esigente coerenza e perseveranza. Certo viene immediato l’accostamento alla inaccettabile situazione delle carceri dove la presenza di Gesù significa percorsi di ripresa di umana e dignità. L’attenzione alle persone cieche, ai loro diritti umani richiama anche le nostre cecità a non saper guardare in profondità noi stessi, gli altri, la profondità e il senso della vita. Le oppressioni sono tante di diverso tipo e la liberazione riguarda gli aspetti personali, interiori e quelli sociali, culturali e politici. Il tempo nel quale il Signore è favorevole può essere per noi quello di ogni giorno: tempo di riconciliazione e di pace, di una continua e progressiva umanizzazione. Gesù afferma che con la sua presenza inizia questa nuova realtà. Seguire Gesù di Nazaret oggi implica mettere al centro del nostro sguardo e del nostro cuore i poveri; collocarci nella prospettiva di coloro che soffrono; far nostre le loro sofferenze e aspirazioni, assumere la loro difesa; significa vivere con compassione, prendendo a cuore, concretamente cura, vivere l’accoglienza; vivere la coerenza, confidare nel Padre.